Donna suicida per solitudine: la soccorritrice, “inaccettabile”.

Donna suicida per solitudine: la soccorritrice, “inaccettabile”.

“La donna si è suicidata a causa della solitudine”. Così la lettera aperta  inviata  alla città da una soccorritrice che si è trovata, la settimana scorsa,  davanti al corpo in fin di vita della donna era a terra in una via del centro storico della città.

Ecco la lettera:

Torno a casa da lavoro, sono le 3.30, mi accompagnano. Stasera dovevo tornare a casa prima ma, a causa di un imprevisto, ho fatto tardi. Sono molto stanca. Lo stress della sessione estiva, il lavoro, l’estate che incombe trovandomi impreparata. Siamo nella strada di casa mia, ho gli occhi sul cellulare, sonnecchio un po’.

“Oh guarda un po’. Cos’è ? Una bambola!” dice il mio amico.

Aguzzo lo sguardo e realizzo l’orrore.

Un corpo. Una donna.

Giace sul ciglio della strada in diagonale. Scendiamo dalla macchina, ci avviciniamo   e realizziamo l’orrore nell’orrore: un laccio al collo, un fiume di sangue scorre fluido sull’asfalto.

Lei non c’è più.

Le gambe tremano, il cuore impazza, non so che fare, come darle aiuto..

Con le lacrime agli occhi digito “112” sul mio smartphone. Rispondono subito.

“Signora che succede?”

“Una donna morta in via X, ha un laccio al collo, è in un lago di sangue”

“Signora resti lì arriviamo subito.”

Ad un certo punto accade l’impossibile: quel corpo esanime comincia a contrarre l’addome. Respira. È viva. È grave. È in fin di vita, ma è qui.

I miei occhi vanno in alto per non guardare più quel corpo straziato da non si sa quale belva. Mi soffermo a guardare un balcone, al secondo piano, proprio sopra la donna. Scorgo un dettaglio. Una sedia. Una sedia appoggiata alla ringhiera. Qualcosa mi dice che non è li per caso.

Arriva l’autoambulanza, contemporaneamente i carabinieri. Gli infermieri la sollevano, la mettono in barella. La donna schiude gli occhi, mi guarda. In quello sguardo passa la vita, la morte, la sofferenza, la felicità. Impossibile spiegarlo. La portano via. L’interrogatorio dei carabinieri. Vengono interpellate altre persone. Sospetto tentato suicidio. Vado a casa in lacrime e tremante, penso a quello sguardo, non riesco a prendere sonno. Scivolo ed improvvisamente la rivedo. Da vicino, più vicino, più vicino ancora. Squilla il telefono, sobbalzo. Era solo un sogno. Rispondo.

“Pronto”

“Pronto carabinieri, dovrebbe venire in caserma a deporre.”

No, non è un sogno. È la realtà. Il “tentato suicidio” non è più solo tentato. Lei non esiste più. Forse non è mai esistita. Le sue tracce  vengono cancellate, il suo sangue lavato via. In quella strada, in quella piccola porzione di strada dove fino a poche ore fa giaceva lei con le sue sofferenze, le sue paure ed il suo profondo dolore ora c’è parcheggiata un’auto.

Tremo. Rabbrividisco. Quella scena, quel corpo sconquassato dalla solitudine.

Suicidio. A non si è suicidata. A è stata uccisa. Si, proprio così. È stata l’indifferenza delle persone a trucidarla. Silenziosamente. A poco a poco. Era sola. Non aveva parenti. Non aveva amici. Nessuno che se ne prendesse cura, nessuno che la aiutasse a curare la sua malattia. È morta violentata dai suoi demoni interiori. È morta violentata da una società che non ha tempo per pensare agli altri. Seviziata da chi la conosceva e ne ignorava, volutamente e non, il dolore.

Ha scelto la morte per salvare la sua vita. Perché nessuno ha voluto salvarla. Nessuno ci ha provato. Lei saltava nel vuoto ogni notte mentre ognuno di noi era nella beatitudine dei propri sogni. L’ultimo salto lo ha fatto dalla sua terrazza. Nessuno si è accorto di niente, nessuno ha voluto accorgersi di niente. Io sono arrivata troppo tardi. Forse avrei potuto. Forse..

Lettera firmata

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