PALERMO – La Sicilia è sempre più rossa e sono sempre di più gli artigiani del settore Benessere costretti a chiudere, comune dopo comune. Proprio oggi, Confartigianato, Cna e Casartigiani hanno presentato al ministro per gli Affari Regionali, Mariastella Gelmini, 50 mila firme raccolte con una petizione promossa per sollecitare l’intervento del Governo a favore di un comparto che conta oltre 150mila imprese e più di 300mila addetti. Una petizione promossa nelle scorse settimane a livello nazionale, ma che è stata rilanciata anche a livello regionale dalle associazioni degli artigiani. “Le imprese di acconciatura ed estetica devono potere aprire nelle zone rosse – sbottano le associazioni regionali dell’artigianato –. Lo abbiamo detto più volte, è uno dei settori che immediatamente, lo scorso anno, ha adottato tutti i protocolli necessari per lavorare in sicurezza. E non è un caso se i saloni di acconciatura e i centri estetici non abbiano rappresentato fonte di contagio. L’organizzazione e le modalità di svolgimento dei servizi di acconciatura ed estetica, inoltre, in virtù del sistema di prenotazione adottato, non provocano assembramenti”. Intanto monta la protesta. Acconciatori ed estetiste sono esausti. La chiusura delle attività in zona rossa, alimenta la piaga dell’abusivismo con gravi danni economici alle imprese regolari già stremate dalla crisi e favorisce la diffusione dei contagi in quanto sono ignorati i protocolli e le misure di sicurezza.Inoltre, con estetiste ed acconciatori chiusi, c’è un intero comparto in sofferenza e tutto l’indotto che ruota attorno ai saloni. Si ferma tutto, dagli acconciatori alle estetiste, dai rappresentanti ai fornitori di prodotti legati alla cura del capello e alla persona. “Non capiamo il perché gli appelli di tutte le associazioni degli artigiani restano inascoltati – aggiungono Confartigianato, Cna e Casartigiani –. Ci siamo mossi su tutti i fronti, a livello nazionale e a livello regionale. I nostri artigiani hanno dimostrato nel tempo sicurezza e affidabilità. Non capiamo le ragioni di far morire così un settore del mondo produttivo”.