di Emanuele Gentile
Oggi ricorre un anniversario che per noi siciliani è particolarmente commovente e significativo: i 35 anni dalla barbara uccisione per mano della mafia di Pippo Fava. Un anniversario che per noi giornalisti rassomiglia a un triste monito nel senso che ci fa ricordare quanto sia difficile il nostro mestiere. Si perché è difficile. Dannatamente difficile. Molti credono che noi giornalisti siamo solo buoni a fare da “velina” per i poteri forti. Non è così. Noi siamo degli osservatori attenti dei territori ove operiamo. Registriamo tutto. Siamo noi, per nostra missione, che rappresentiamo al meglio la situazione di un dato territorio. Attraverso i mezzi tecnologici a nostra disposizione permettiamo ad altri cittadini – perché anche noi siamo cittadini – di sapere come vanno le cose nella città che essi abitano. Grazie al nostro diuturno lavoro – un lavoro che ci appassiona ogni oltre limite – disegniamo con le dita incollate alla tastiera quadri sulla vita reale che ci circonda. Una casa che incendiandosi causa la morte di un vecchietto. Le stranezze di un appalto. Il recital di poesie dei bambini delle elementari. I problemi di marginalità di un quartiere. L’illuminata conferenza organizzata da un sodalizio locale. Il pericolo rappresentato dallo spaccio della droghe per le strade cittadine. L’incidente a un crocevia. Gli accordi sottobanco per fare durare un’amministrazione comunale. In breve, i nostri articoli parlano di mille cose perché la realtà è composta da mille e più sfaccettature. Questo perché siamo ovunque. Non per farci belli. Ma per rendere un servizio – al miglior livello possibile – nei confronti di voi cari cittadini che ci leggete o vedete in televisione o ascoltate alla radio. Siamo giornalisti, un punto e basta. Non pretendete da noi ruoli di altro genere. Non siamo qui per ergerci a maestri di vita o avere un ruolo politico. Siamo semplicemente il tramite fra un evento e voi cari nostri concittadini. Proprio perché siamo da tramite possono sorgere problemi, difficoltà, pericoli e pressioni su di noi. Siamo noi giornalisti che assicuriamo il buon livello di democrazia e libertà di un territorio. Naturalmente tutto questo non incontra sempre i favori. Spesso causa problemi serissimi che possono ostacolare in maniera pesante la vita di un giornalista. Noi in Sicilia sappiamo cosa significa fare il giornalista. Troppi di noi sono morti. Per esempio il nostro maestro Pippo Fava che ha raccontato come pochi la Sicilia del secondo dopoguerra mettendone in rilievo le ambiguità, le ipocrisie, le false verità e la scenografia di un’eterna opera dei pupi. Sono, altresì, troppi i giornalisti che sono costretti a non avere una vita propria. Mi riferisco ai 19/20 giornalisti italiani che vivono in Italia sotto scorta. Rei solo di voler raccontare ciò che succede nel loro territorio. Fra questi il modicano Paolo Borrometti. Il nostro collega da anni, oramai, sta sviluppando un’azione coraggiosa e impeccabile per capire meglio come vanno certe dinamiche sociali, economiche e politiche della Sicilia del Barocco. Qualcuno – mafia, colletti bianchi, politici… – non sono “contenti” di trovarsi qualcuno per i piedi che riesce a far comprendere a noi che aria tira. Eppure grazie a Paolo Borrometti stiamo cominciando a capire alcune cose che sembravano dover rimanere “nascoste” per sempre. Per questa sua esemplare attività va aiutato. Non è bastevole la sola vicinanza. Noi tutti dobbiamo diventare 100, 1000, 10000, 100000 Paolo Borrometti oppure Pippo Fava o tutti gli altri giornalisti sotto scorta e/o uccisi. Solo così il suo lavoro e il nostro lavoro riuscirà a incarnare in pieno i valori di Giustizia e Verità che sono alla base del mestiere di giornalista. Ricordiamo, ordunque, con commozione il maestro Pippo Fava e siamo vicini per davvero a Paolo Borrometti!