AGIRA – Hanno dato un viso ai morti e letto i loro nomi, a cui rispondeva un tonante “presente”. Da pochi giorni le tombe del cimitero militare canadese di Agira – affacciato sullo specchio d’acqua Pozzillo che tanto ricorda i laghi del Canada – hanno ciascuna una foto sbiadita in bianco e nero. Sono giovani e giovanissimi, qualcuno con la moglie accanto, un altro con un piccino in braccio, altri ancora semplicemente il viso senza una ruga: sono 480 militari, morti tra Leonforte, Assoro e Agira, la maggioranza dei 562 Loyal “Eddies” canadesi caduti durante l’Operazione Husky nel 1943. Un gigante buono olandese – Tjarco Schuurman, un uomo imponente di quasi due metri, è il presidente della D-Day Dodgers Foundation – da tre anni li sta cercando tutti a uno ad uno, contattando le famiglie che, sorprese e felici, hanno tirato fuori dai cassetti gli scatti dimenticati. E’ nato così “Faces of Agira” (I volti di Agira), progetto che viaggia sui social per dare una memoria a soldati di fatto sconosciuti, e che si lega profondamente al Wrap (Walking for Remembrance & Peace) il “cammino” che un gruppo di canadesi, guidati da Steve Gregory, ha condotto sulle tracce delle truppe alleate nel luglio 1943, da Marzamemi e Pachino (luoghi dello sbarco) ad Adrano. Sabato scorso una toccante commemorazione, al suono delle cornamuse dei Seaforth Highlanders, ha chiuso il WRAP, avviato il 10 luglio a Pachino. Al cimitero di Agira si sono ritrovati in tanti al tramonto: dopo un primo ricordo – un particolare “saluto al sole” di un militare canadese, nativo pellerossa – è stato letto l’elenco dei caduti: ad ogni nome, una voce (un centinaio di partecipanti, tra uomini, donne, ragazzi, di ogni Paese; tra loro anche Tony Loffreda, unico senatore canadese di origine italiana, che ha voluto seguire l’intero “cammino”) ha risposto con un distinto “presente”. “Tjarco Schuurman ha dato loro un viso, noi abbiamo aggiunto un segno della nostra memoria – ha detto Steve Gregory. Ieri a Marzamemi sono stati piantati sulla spiaggia di fronte al mare, 130 markers (marcatori), in ricordo di coloro che non sono morti in battaglia, ma sono caduti durante le operazioni dello Sbarco o facevano parte degli equipaggi dei velivoli abbattuti in Sicilia. Nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943, più di 25 mila soldati della 1° Divisione di fanteria e della 1° Brigata corazzata del Corpo di spedizione canadese al comando del Maggior Generale Harry Crerar, sbarcarono tra Marzamemi e Pachino. Sole cocente, pochissima acqua potabile, le strade polverose: i volontari canadesi sono disorientati ma procedono abbastanza speditamente verso il cuore dell’isola e all’inizio non incontrano resistenza. “Gli americani marciano verso Palermo e gli inglesi tagliano la costa verso Catania: i canadesi rimangono al centro dove si ritroveranno impegnati nella conquista di cittadine arrampicate sui monti, vere roccaforti tedesche e italiane” ricorda lo storico Alfio Caruso. Il 16 luglio i Loyal Edmonton entrano a Piazza Armerina, poi a Valguarnera, Enna, Assoro, Leonforte, Nissoria e infine Agira: è la battaglia più sanguinosa, migliaia saranno le vittime civili sotto i bombardamenti, e altrettanti i militari dei due schieramenti che restano sul terreno, tra cui un numero altissimo di canadesi, oggi sepolti al cimitero militare di Agira. “Mio nonno è stato interprete durante la Seconda guerra mondiale, noi olandesi dobbiamo parecchio al Canada – spiega Tjarco Schuurman –. Da qui sono partito per dare un viso a queste tombe. Vogliamo cambiare il modo in cui si guarda alla guerra: non più grandi eroi o storie conosciute, ma semplici militari, ragazzi che partirono volontari e credevano nella pace” . In tre anni, costruendo un’imponente rete di contatti e di volontari anche tra gli abitanti di Assoro e Agira, Schuurman è riuscito ad abbinare 480 foto ai nomi dei caduti, degli oltre 500 militari sepolti in questo cimitero bianco che pare guardare dall’alto la campagna attorno e il lago Pozzillo. Quando gli viene chiesto come è stata accolta la sua richiesta dalle famiglie dei caduti, Schuurman risponde che “alcune neanche sapevano che un loro parente era morto in Sicilia, ma hanno comunque cercato le immagini in cassetti e armadi. Mancano ancora una ventina di foto, ma non ci fermiamo”.