Lo storico accordo in sede europea sul Recovery Fund rappresenta un’opportunità di rilancio unica per la Sicilia. Ma oggi a che punto sono le nostre istituzioni? Su quali tavoli e con quali capacità tecniche e negoziali si gioca questa partita dall’importanza epocale? Stanno i media siciliani interpretando il ruolo di “osservatori e guardiani” degli indirizzi strategici scelti dalla politica?
“Non si è mai vista una tale quantità di fondi come quella messa in campo: ora più che mai servirà, per l’individuazione degli interventi da finanziare, una visione strategica di cosa è da intendersi per sviluppo” afferma Giuseppe Ursino, CEO del JO Group, cluster di aziende con core business in digitaltransformation e consulenza su fondi europei, con sede a Catania, primo classificato in Sicilia nel 2019 per il bando su “Smart Cities&Communities” afferente alla Strategia Regionale dell’Innovazione per la Specializzazione Intelligente.
Quello di Ursino è un appello rivolto a tutta la classe dirigente siciliana, da quella politica a quella chiamata tecnicamente a redigere i progetti, ricordando a tutti quanto sia l’accessibilità il fattore chiave per lo sviluppo economico del territorio siciliano. “L’‘inaccessibilità’ in termini infrastrutturali è emblematica di un’ingiustizia socio-economica irrisolta che da sempre subisce la mia terra e che finora ahimè abbiamo accettato con un approccio mentale sottomesso. D’altra parte, se anche in occasione del Recovery Fund si continuerà con l’andazzo, riacuitosi negli anni ’90 con la Seconda Repubblica, di polarizzare tutte le infrastrutture nel Centro-Nord del Paese, continueranno inevitabilmente a crescere la sperequazione economica e l’emigrazione dei siciliani”. Già più volte, del resto, i governi nazionali sono stati richiamati dall’Unione Europea per il marcato disinteresse rispetto alle politiche economiche a supporto del Sud Italia e per il susseguente inaccettabile protrarsi di quella dualità italiana che vede, a fronte di un Nord ricco di opportunità, un Sud abbandonato a sé stesso.
“Ma a chi conviene ancora questo? – Si interroga Ursino, impegnato professionalmente dal ’95 su fondi strutturali e fondi europei diretti gestendo centinaia di progetti – Le istituzioni locali, i corpi intermedi, le ‘risorse morali’ del Sud devono in queste settimane, prima che i giochi siano fatti, trovare il modo di farsi sentire e far valere quella ‘fame di infrastrutture’ che ogni giorno paghiamo a caro prezzo con povertà, disoccupazione ed emigrazione di massa”.
D’altra parte, quale migliore occasione del Recovery Fund per riparare ai tagli per decenni operati al Sud ai danni di scuola e sanità e all’azzeramento nei fatti della spesa per infrastrutture, scelte che hanno accelerato un’inaccettabile crescita delle diseguaglianze.
“Per quanto ancora ci dovremo accontentare di non avere neanche un anello autostradale che completi il triangolo dell’Isola? – chiede – Per quanto ancora dovremo subire il danno economico e sociale di non avere l’alta velocità ferroviaria? Per quanto ancora subire un aeroporto catanese depotenziato dalla mancanza di una pista di atterraggio lunga per far crescere i voli diretti, che sono il più efficace volano di traffico turistico? Quando saranno applicati i livelli essenziali di assistenza per tutte le prestazioni, i servizi e le attività del servizio sanitario nazionale, affinché si abbiano prestazioni uniformi su tutto il territorio nazionale?”
Il Recovery Fund rappresenta una straordinaria occasione. “Quest’enorme allocazione di miliardi si deciderà nelle prossime settimane: quanti si ritengono ‘classe dirigente’ trovino canali di comunicazione, costruiscano forza negoziale da far valere sui tavoli dove già si stanno prendendo queste decisioni così vitali per il nostro futuro – è l’appello di Giuseppe Ursino che conclude – lo dobbiamo soprattutto a quella ‘Next Generation EU’ che non a caso ha dato il nome al grande accordo europeo, quella dei nostri giovani ai quali, altrimenti, mestamente dovremo continuare a spiegare come per il loro futuro sarà per loro meglio emigrare e abbandonare la Sicilia in cerca di territori più accoglienti dove metter radici”.