LENTINI – E’ stato presentato, ieri sera, nella sala conferenze della sede di “Antudo” di Lentini l’ultimo lavoro di Maria Edgarda Marcucci dal titolo “Rabbia proteggimi dalla Val di Susa al Kurdistan storia di una condanna inspiegabile”. L’iniziativa è stata promossa e organizzata da “Antudo” di Lentini ed inserita nel percorso culturale che in questi anni sta portando avanti l’associazione. A presentare Maria Edgarda Marcucci sono state Metis Bombaci e Maria Adagio. L’autrice ha raccontato la sua storia, la sua esperienza nei no Tav e in Rojave con le YPJ, ma anche del regime di sorveglianza speciale a cui è stata sottoposta al suo rientro in Italia spiegando anche il significato di “rabbia proteggimi” che poi è il titolo del libro. “ È stata una presentazione molto partecipata – ha detto Maria Adagio – con diverse persone che sono arrivate dai centri vicini. Una serata intensa, piena di persone e piena di pensieri su un mondo migliore e sulla necessità di essere una comunità”.
Marcucci racconta nel libro la vicenda giudiziaria che l’ha portata ad un biennio di sorveglianza speciale. Questa “pena” le è stata inflitta dal Tribunale di Torino non per reati commessi e per cui è stata condannata, ma piuttosto come “misura precauzionale” per essersi recata in Rojava a fare esperienza diretta del sistema sociale del Confederalismo democratico e per combattere contemporaneamente le bande integraliste dell’Isis e quelle dell’espansionismo turco che lo minacciavano e lo minacciano. Si è addestrata ad usare le armi, appoggia le manifestazioni contro la TAV e contro la vendita di armi alla Turchia, è attiva nei centri sociali dunque – sentenzia il Tribunale, così come riportato negli atti presenti nel libro – la Marcucci è potenzialmente pericolosa per la società e va tenuta sotto stretta osservazione limitando pesantemente la sua libertà personale.
Marcucci scrive nel suo libro i mesi lungo cui si sono protratte le udienze dal suo rientro dal Kurdistan fino alla sentenza avvenuta nel marzo del 2020. E non può contemporaneamente non scrivere dell’evento sostanziale a cui quella sentenza si è appigliata: l’adesione alle YPJ (le forze femminili di difesa del Rojava), i combattimenti a cui ha partecipato, le persone che come lei hanno fatto questa scelta (gli “internazionalisti”) ma che a differenza di lei non sono potuti tornare a casa, come Anna Campbell o Lorenzo Orsetti. Paradossalmente, chi non conosce nulla della storia della Marcucci potrebbe pensare che sia lei quella raffigurata nella prima fotografia che apre il libro, mentre invece si tratta di Anna Campbell (aka Helin Qerecox), uccisa durante l’occupazione di Afrin da parte delle milizie al soldo turco. Scopro nel libro che Campbell e Marcucci si conoscevano (anche se le avevo già accomunate come splendido esempio di donne capaci di incarnare e combattere per gli ideali in cui credono: mentre invece sapevo che la Marcucci e Lorenzo “Orso” Orsetti (aka Tekoser) si fossero incrociati. Il qui pro quo è tanto più giustificato quanto più nel libro non ci sono foto chiare della Marcucci: al più è rappresentata in foto di gruppo e o all’interno di manifestazioni o lasciata all’interpretazione di Sara Pavan, che arricchisce graficamente il libro. Il motivo potrebbe essere la sensazione di dispetto raccontata dalla Marcucci quando, di fronte alle sue critiche ad un giornalista che non aveva riportato con accuratezza quanto da lei spiegato nel corso di un’intervista, quello ribatte che comunque i lettori faranno attenzione piuttosto alla sua fotografia. La fotografia di una donna giovane e certamente attraente. A cui però non interessa l’attenzione per il proprio aspetto ma per le cause che abbraccia.