Qualche giorno fa abbiamo pubblicato la recensione di “Catania: la Chicago del sud”. Un libro molto interessante e che fornisce uno spaccato assolutamente drammatico della Catania a partire dagli anni settanta in poi. Il tema andava approfondito con l’autore, Pino Vono, che ha accettato la nostra proposta di intervistarlo. L’intervista che state per leggere racconta molto meglio di decine di saggi quel clima di violenza e terrore che ha pervaso la città etnea per svariati decenni. Un’intervista come riflessione su come combattere in maniera seria ed efficace un fenomeno – quello mafioso – che costituisce una zavorra in grado di impedire il reale progresso di Catania e di tutta la Sicilia. E se la situazione non è ulteriormente peggiorata lo dobbiamo all’abnegazione e al coraggio dei Falchi. Agenti di polizia che a costo della vita hanno combattuto come pochi la mafia e il suo dominio sulla città. Un’intervista da leggere.
Da quale esigenza nasce l’idea di scrivere sulle vicende della Catania criminale degli ultimi decenni?
“Ho deciso di scrivere questi due testi “I Falchi nella Catania Fuorilegge” e “Catania: La Chicago del Sud”, spinto dal desiderio di far conoscere il delicato, difficile e rischioso lavoro svolto da giovani e poco esperti Agenti di Polizia. Inoltre, tentare di rappresentare e documentare alle giovani generazioni un periodo storico dell’hinterland catanese, che ripercorre gli anni 70-80-90 e gran parte degli anni 2000, anni in cui la Città etnea era sotto il predominio e ricatto della criminalità. Nel primo volume ho anche voluto onorare e dare un tributo ai colleghi che non ci sono più.”
Com’era la Catania dei primi anni 70 dal punto di vista dell’opinione pubblica?
“Come alcuni ricorderanno, Catania nell’immediato dopoguerra, per il suo enorme progresso industriale ed economico si era guadagnata l’appellativo della “Milano del Sud”. Negli anni a seguire il Capoluogo etneo subì una notevole e significativa decrescita. Di conseguenza, anche gli interessi della criminalità organizzata cambiarono. Non più contrabbando di sigarette, gioco d’azzardo e prostituzione, ma si orientarono sul traffico della droga, delle armi, delle estorsioni e rapine. Gli uomini delle cosche catanese diventarono spregiudicati e violenti causando decine e decine di agguati mortali (una media di 80/90 l’anno); consuntivo di una spietata lotta per il controllo del territorio motivo per il quale, la cittadinanza viveva un lungo periodo di disagio e di notevole preoccupazione. Addirittura alcuni quartieri erano impenetrabili perfino dalle Forze dell’Ordine e i commercianti, avendo timore di ritorsioni, rapine e soprattutto paura di beccarsi qualche proiettile vacante esplosa dai killer chiudevano le attività anzitempo. Già alle 20:00 di sera la Città era deserta. Nel contempo anche la micro-criminalità subì un’evoluzione in negativo: Diversi furti in appartamento, numerose aggressioni, violenti assalti ai turisti e non solo, col classico metodo dello scippo (una media di 40/50 al giorno). Nell’hinterland catanese un clima di terrore e insicurezza. Di conseguenza fu declassata nella “Chicago del Sud”.”
Alcuni dei suoi colleghi presenti alla presentazione del libro a Lentini hanno definito Catania “una palude”, concorda?
“Certamente, ed è quello che in modo più ampio, ho appena affermato. Una Città che ancora oggi, in modo al quanto sofisticato e subdolo, “vive”. Si, ancora oggi Catania è sotto il ricatto della criminalità organizzata e della mafia. In sintesi, dopo il fallimento stragista imposto dai corleonesi di Totò Riina e Leoluca Bagarella, Cosa Nostra siciliana ha modificato la sua strategia, prendendo a modello quello catanese, divenuto dominante. La nuova vocazione di Cosa Nostra è quella di penetrare e confondersi nel tessuto economico legale. Oggi la mafia ha sempre meno necessità di manifestare atti violenti, è invece, orientata verso l’infiltrazione economico-finanziario. Si è inserita e mimetizzata all’interno non solo del privato, ma anche nelle istituzioni, da dove può governare e pilotare appalti e affari milionari, perché diventata esperta in economia imprenditoriale. A mio parere Catania, apparentemente calma e assopita, cova al suo interno una sorta di <polveriera>, nonostante il valoroso e costante impegno della magistratura e delle Forze dell’Ordine. Quartieri abbandonati dove diversi giovani disoccupati e vogliosi di arricchirsi velocemente transitano al soldo della criminalità e della mafia, guadagnando oltre 100 euro al giorno con lo spaccio della droga. Ed ancora, un fatto allarmante è quello che da qualche tempo sta riemergendo, ed è protagonista in negativo, una micro criminalità dilagante, afflitta da fenomeni estorsivi e usura, ma anche da una forte e preoccupante devianza minorile e un elevato tasso di dispersione scolastica, tali da far contendere il primato nazionale a Palermo, Roma e Napoli. Emerge anche, uno scarso senso civico, etico e morale che proietta la nostra Città verso una deriva sociale. Una Città dove manca il controllo urbano.”
I Falchi nascono da un’idea del Questore De Francesco e resa operativa dai dirigenti Donnini e Berretta?
“La brillante idea della Squadra Speciale dei Falchi fu direttamente messa in atto dall’allora Questore Emanuele De Francesco. Il primo personale fu selezionato direttamente dall’allora Capitano Valerio Donnini. Detto personale, concluso il Corso della durata di tre mesi presso il Centro di addestramento di Cesena, veniva assegnato alla Mobile e quindi alla Speciale Squadra dei Falchi, alle dirette dipendenze del dirigente la Squadra Mobile dott. Tommaso Beretta. Come affermato, la Squadra nasce con l’intento di frenare il dannoso fenomeno degli scippi. Col passar del tempo e senza volerlo assunsero pure l’arduo compito di osteggiare l’avanzata violenta della criminalità organizzata mentre era in corso una spietata guerra di mafia fra <Cursoti> e <Cosa Nostra>, quest’ultima governata dal potente capomafia Giuseppe Calderone, alias Cannarozzu d’argento.”
Voi Falchi vi considerate come crociati contro il male rappresentato dalla mafia?
“Assolutamente no! La maggior parte di noi erano giovani provenienti da famiglie modeste e con sani principi e valori i quali, senza accorgersene si sono fatti carico di svolgere il proprio servizio al meglio. Proprio per questi sani ideali alcuni hanno pagato con la propria vita mentre altri, invece, per ingenuità e leggerezza hanno pagato con la libertà; altri ancora sono passati direttamente al soldo della criminalità.”
A proposito di mafia voi Falchi perseguivate il fenomeno mafia?
“Come già affermato, il gruppo fu istituito principalmente per i numerosi reati predatori (scippi e rapine) che erano diventati un reale allarme sociale. Detti reati, con la istituzione della Squadra dei Falchi, composta da giovani Agenti di Polizia che perlustravano le varie zone a rischio in borghese e a bordo di potenti moto, furono drasticamente ridimensionati. Inizialmente, poiché i vari criminali non erano abituati a quei costanti controlli e in particolare in quei territori che ritenevano di loro esclusivo predominio, reagivano con arroganza e violenza. Motivo per il quale la Squadra fece gruppo e utilizzando metodi e modi poco ortodossi riuscì a frenare la loro arroganza.”
Quali i reati che voi Falchi perseguivate con più rigore e attenzione?
“Non vi erano nessun limite; trattavamo tutti i reati ma, in seguito, ci siamo organizzati e concentrati maggiormente sulle cosche che la facevano da padrone. La ricerca dei boss latitanti, il traffico della droga e delle armi era una cosa costante.”
Sentivate che la Città era con voi oppure avvertivate una certa freddezza?
“La sensazione che si avvertiva maggiormente era quella di una certa avversità. Tale atteggiamento avverso lo scriveva di tanto in tanto anche una certa stampa, appoggiata anche da una parte politica e qualche burocrate ai vertici della Polizia. A tal proposito, mi viene in mente che uno dei principali giornali catanese, il 28 Giugno 1988 titolava <Ritorno dei Falchi contro gli scippatori>, proseguendo l’articolo rimarcava quello che il questore aveva voluto puntualizzare:<Per carità nessun collegamento con i Falchi che nella metà degli anni ’70 furono al centro di grossi fatti di cronaca nera. Le pattuglie non saranno considerate una Squadra Speciale>. Aggiungo io: Quanta falsità e ipocrisia.”
Certo che la Catania descritta sul suo libro è una Catania violenta e brutale dove la vita di un uomo valeva meno del costo di una pallottola.
“Era la cruda ed amara realtà. Una realtà che oggi sembra sparita in quanto non ci sono fatti di enorme allarme sociale, come gli omicidi; ma che in realtà la mafia è ancora viva e vitale e forse più forte di prima, controlla buona parte del territorio catanese, nonostante decine e decine di arresti ed imponenti sequestri di beni mobili ed immobili. E’ certamente più accorta e silente di prima. Si è riorganizzata ed inabissata. Le due più potenti organizzazioni criminali, quella di Turi Cappello-Bonaccorsi e Santapaola-Ercolano hanno stipulato un patto di sangue coinvolgendo tutte le famiglie. Pertanto ognuno coltiva i propri interessi economici investendo in attività apparentemente lecite, oltre naturalmente nello spaccio di stupefacenti, armi ed estorsioni.”
Alcuni dei suoi colleghi non ci sono più, cosa prova quando li ricorda?
“Con loro ho trascorso momenti di gioia, di preoccupazioni e di pericoli e, quando li ricordo nelle mie presentazioni provo una certa emozione. Con Rocco Marramao, per tutti Maurizio ho frequentato il Corso di arruolamento, il successivo trasferimento a Catania nel 73 e poi alle volanti e alla Squadra Speciale dei Falchi. Anni di amicizia anche con Gennaro Autuori, ucciso a Napoli nel 93, ed ancora Paolino Puglisi, Antonino Leo, Pasquale Vella e Giovanni Lizzio.”
Continuerà a scrivere altri libri sull’argomento?
“Per il momento dico no, in futuro vedremo…”
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