di +Luigi Renna – Arcivescovo Metropolita di Catania
Mentre in questi giorni celebriamo la Santa Pasqua, sentiamo che la gioia e la speranza che risplendono nel mistero della Risurrezione, sembrano tardare a raggiungerci, anzi rischiamo di fermarci al Venerdì Santo, dove la violenza si è accanita sul corpo del Crocifisso, e le lancette della storia si sono bloccate sulle tre del pomeriggio, l’ora del buio e della morte. Ma la speranza cristiana non si arrende, e dal mistero della Passione, Morte e Risurrezione vuole ripartire, per rialzarsi, sperare, operare. Dal mistero della Pasqua impariamo a vivere, anzi re-impariamo a vivere, perché se l’umanità è sull’orlo di un conflitto di vasta portata e Paesi cristiani o che credono in un Dio Unico sono in guerra, vuol dire che dobbiamo tornare alla lezione della croce. Se le notizie di violenze sulle donne scandiscono con ritmi quasi puntuali i nostri notiziari nazionali e il numero dei poveri cresce costantemente, è perché dobbiamo reimparare dalla Croce e dalla Risurrezione. Se l’indifferenza è il virus che non teme mascherine e contagia intere generazioni, occorre ritornare a quell’antidoto che è stato fabbricato sulla croce.
Reimpariamo il senso della responsabilità, entrando nel cenacolo. La grande lezione del Cristo che si china sui piedi degli apostoli, li lava e li asciuga, è il suo testamento di amore che annuncia che sarà Pasqua per tutti, quando ciascuno vivrà la sua esistenza come un dono e un servizio; che saprà lavare i piedi prendendosi cura dell’educazione dei ragazzi propri e dei figli degli altri; che crederà che l’educazione non potrà risolversi in iniziative di un giorno, ma avrà il sapore dell’impegno quotidiano dei docenti delle scuole delle nostre città dove è più difficile educare, e dove si prepara il futuro in mezzo a tante difficoltà e tanta speranza; dove i volontari si fanno vicini a tutti accompagnando lo studio dei ragazzi, si fanno amici di chi non ha amici, danno un supporto alle famiglie. Nei centri dove i poveri si sentono fratelli e basta, ed esibiscono non una “tessera di povertà”, ma quella dell’amicizia che li fa sentire meno soli.
Reimpariamo la pace, entrando nel Getsemani, per riascoltare quelle parole di Cristo nell’orto degli Ulivi: “Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada” (Mt 26,52); per guardare al suo andare disarmato incontro alla morte; per riascoltare poi anche nel cenacolo quel suo primo saluto ai discepoli, il giorno della risurrezione: “Pace a voi”. Le abbiamo dimenticate queste parole? Ci basta forse vedere sfilare le processioni della Settimana santa con simulacri che restano muti e che non fanno memoria delle parole che ha pronunciato e pronuncia Colui che essi raffigurano? Non ci rimproverano forse che abbiamo dimenticato questa lezione e abbiamo continuato ad armarci, a sperare nella forza della deterrenza e nelle strategie della tensione, e abbiamo sottovalutato la forza del dialogo e dei negoziati? La Pasqua continua a farci sperare che la pace sia possibile se i mezzi del dialogo paziente e della condivisione apriranno un varco di luce. Vogliamo debellare la fiducia nelle armi che troppo facilmente stanno tornando in mano a civili, a persone che ne fanno un mito e un gioco pericoloso? Occorre reimparare che nella nostra vita quotidiana un’arma è sempre qualcosa di non appropriato per chi crede in Colui che ci ha redento con un Amore disarmato.
Reimpariamo la solidarietà, sulla via della croce, con i volontari, che ci dicono che la Pasqua la si costruisce ogni giorno portando la croce dei fratelli. Reimpariamo, come dicevano gli alunni della scuola di don Milani che “il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica. Sortirne da soli è avarizia”.Parlare di sogni, di bellezza, di futuro, e non affidarsi alla forza di un amore che sa condividere e servire senza ostentazione, significa tenere in mano parole nude. Mentre ci prepariamo alle elezioni europee; mentre siamo chiamati a valutare se la legge sull’autonomia differenziata (sulla quale i Vescovi di Sicilia ci hanno invitato a “prendere la parola”) è un “sortirne da fratelli” o da avari che pensano solo a sé, ogni cittadino, dalla croce e dal cireneo, può imparare che ogni uomo è un politico, quando pensa agli altri; e ogni politico è veramente tale se sa pensare la sua città in grande, in Italia, nell’Europa, nel mondo. Perché dalla croce scaturisce non una fraternità di soci, ma quella famiglia che abbraccia tutti, proprio tutti gli uomini, ed ognuno può dire che Cristo si è fatto suo fratello.
Viviamo il nostro tempo non come chi non sa se Cristo risorgerà: sappiamo che è risorto e che se la croce è ciò che ci fa credere, come diceva il filoso Pascal, ciò in cui crediamo è la vittoria della croce e della risurrezione.
Buona Pasqua! Andiamo a scuola di speranza: passiamo dal cenacolo dove Cristo lava i piedi ai suoi, dal Getsemani dove invita a deporre le armi, dalla strada della croce dove incontra la pietà. E i nostri occhi si spingano persino oltre la morte, che non può essere la scelta intenzionale davanti al dolore di un morente: anche nel dolore, la pietà e le cure pietose ci fanno rispettosi del dono della vita. Anche il mistero della morte è stato squarciato dal Crocifisso, in tutto simile a noi fuorché nel peccato: simile nel dolore, ma non nel peccato, perché la radice dell’egoismo divide, quella dell’amore di Dio risana e salva e promette risurrezione e vita.