Al Teatro Stabile di Catania l’“Opera panica”di Jodorowsky

Al Teatro Stabile di Catania l’“Opera panica”di Jodorowsky

“Panic”, così venne battezzato il movimento teatrale fondato nel 1962 dal cileno Alejandro Jodorowsky con Fernando Arrabal e Roland Topor. Perché Jodorowsky – regista di film di culto come El Topo e La montagna sacra – ha avviato il proprio il percorso nel surrealismo magico non attraverso il mondo di celluloide, ma con la scrittura e soprattutto con il teatro, che ha sempre coltivato e coltiva con immutato amore. Una drammaturgica, la sua, mirata a scandagliare con profonda ironia la complessità del presente, declinando motivi e motivazioni del teatro dell’assurdo, ma prediligendo modi e moduli immediatamente fruibili.

In questa visione s’inserisce Opera panica (Cabaret tragico), una pièce del 2001, il cui titolo stesso svela argutamente come alla radice vi sia il “tutto”, il dio Pan, l’arte totale. Come realizzare in questo caso l’universo teatrale di uno dei maggiori intellettuali del nostro tempo? Se l’è chiesto il regista Pietro Dattola, che ha scelto di raccontare i quadri surreali che compongono questo capolavoro con una giostra di numeri circensi.

Lo spettacolo, una produzione DoveComeQuando, sarà ospite del Teatro Stabile di Catania alla sala Musco dal 2 al 7 febbraio, nell’ambito del cartellone “L’isola del teatro”, impaginato dal direttore Giuseppe Dipasquale nell’ottica di porre in evidenza la sperimentazione di generi e linguaggi teatrali. I costumi a tema sono di Maria Francesca Palli, gli elementi di scena di Alessandro Marrone. Il cast annovera Flavia Germana de Lipsis, Marcello Paesano, Andrea Onori, Letizia Barone Ricciardelli.

«Il lavoro – sottolinea Pietro Dattola – si presenta al lettore come un testo nudo, ridotto all’essenziale: nessun contesto, nessuna didascalia, solo le battute, i personaggi indicati con lettere dell’alfabeto. Eppure, nonostante l’ostentata frammentarietà, Jodorowsky ha creato molto più di un mero insieme di scene. Sebbene i ventisei mini-quadri, pur orbitando tutti nella sfera dell’assurdo, vadano dal comico al poetico, dall’ironico al malinconico, dal logico-matematico al “melò-tragico”; e sebbene il loro argumentum sia sempre diverso, tutti condividono lo stesso tema: l’impossibilità, per l’uomo, di vivere senza ritrovarsi, alla fine, in qualche modo insoddisfatto, così nell’intimo come nella società, passando per le relazioni amorose».

La variegata sequenza di situazioni affronta tematiche fondanti, soprattutto il rapporto tra l’identità e il potere. Ma lo fa con mano leggera, laddove è la superfice comica del testo a svelare il sottotesto tragico, suggerendo quanto sia superfluo, ridondante, persino inutile, conferire una dimensione “seria” a problematiche inevitabili e insolubili, poiché connaturate alla natura e alla condizione umana. Che non potrà mai definirsi felice.

Osserva ancora Piero Dattola: «Tanto Jodorowsky è abile nel sondare questa “inettitudine alla felicità” dell’uomo, sia questi raffinato o rozzo, distaccato o carnale, forte o debole, quanto lo è nell’incantare lo spettatore con situazioni comiche, paradossali o poetiche che, recuperando le origini storiche del testo, noi abbiamo scelto di rendere in un contesto unitario di stampo circense: scene alle quali è impossibile assistere nella vita reale… per quanto sono vere».

 

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