Daniela Rocca, storia di una diva incompiuta ma mai dimenticata: dal trionfo con Pietro Germi alla follia. Il Teatro Stabile di Catania ricorda la splendida attrice, nativa di Acireale, con una nuova produzione, Sabbie mobili di Domenico Trischitta. E sceglie un’interprete di forte personalità e spessore come Guia Jelo per far rivivere il dramma dell’artista, affidandone la regia a Massimiliano Perrotta. «Un amarcord che abbiamo fortemente voluto – sottolinea il direttore del TSC Giuseppe Dipasquale – per porre l’accento sull’eccellenza siciliana e al contempo proporre una vicenda umana e artistica universale».
L’appuntamento è alla sala Musco al 15 al 21 aprile. Le scene sono di Giovanna Giorgianni, i costumi di Rosi Bellomia, le musiche di Matteo Musumeci. Accanto a Guia Jelo agiscono Fulvio D’Angelo, Raniela Ragonese, Roberta Andronico, Lorenza Denaro.
Come si vede dai nomi impegnati nel progetto, si profila un omaggio tutto catanese alla parabola esistenziale di una fragile donna, che prova l’ascesa e la caduta, il successo e la solitudine.
Bellezza prorompente e mediterranea, Daniela Rocca fu notata dall’attore Saro Urzì durante un concorso di bellezza a Catania. A Roma incontrerà Pietro Germi: …”ho conosciuto Germi in una trattoria, da Gino in via Rasella…quando ho visto che stava seduto al tavolo di fronte ho deciso che avrei dovuto conoscerlo…”.
Chissà cosa si erano veramente detti i due quella sera, di certo cominciarono a frequentarsi, forse ad amarsi. Da lì l’idea di sceglierla come protagonista per farle interpretare Rosalia, moglie del barone Cefalù, il quale farà di tutto per liberarsene, fino ad inventarsi un delitto d’onore.
Di quell’esperienza ricordiamo alcuni episodi che funestarono l’ambiente del set: il tentato suicidio dell’attrice e l’ictus che colpì Germi e lo costrinse ad interrompere le riprese per sei mesi. Amore e morte si mescolano. Quello è il periodo più intenso dell’attrice catanese, dall’inizio del rapporto con il regista fino all’uscita del film, solo un bagliore di luce rappresentato da un’intervista rilasciata al festival di Venezia a Lello Bersani: “…adesso spero di dimostrare tutto il mio valore, penso che “Divorzio all’italiana” sia solo l’inizio…chissà se qualche regista si è accorto di me?”.
Invece fu solo la fine. Daniela Rocca girò altri due film degni di nota, “L’attico” e “La noia”, dove sono già evidenti i primi segni della follia che la devasteranno fino alla fine della sua esistenza. Bellocchio la richiamò nel 1977 per “La macchina del cinema”, apparizione tristissima che ce la restituisce nell’interpretazione di se stessa, a mostrare a tutti il fenomeno da baraccone che era diventata. Da quel momento la sua vita entrò in un vicolo cieco. Iniziò la parabola discendente, fatta di ricoveri più o meno lunghi in case di cura per malattie mentali. Nel giro di pochi anni perse un patrimonio consistente, due appartamenti, compreso quello immenso e panoramico di Monte Mario. Entrò nell’inevitabile dimenticatoio. Il malessere e il disagio esistenziale l’avevano trasformata fisicamente. Passò gli ultimi anni in una casa di cura a Milo, alle falde dell’Etna, a sognare continuamente il mare della sua infanzia, quello della stazione di Catania, e il fantasma di Germi.