di Emanuele Gentile
CARLENTINI – Il Professore Aricò ha dato alle stampe un pregevole saggio sulla fondazione della nostra città. Saggio che abbiamo già recensito a suo tempo (alla fine dell’articolo troverete il link per accedere alla recensione – nda). E’ un magnifico viaggio alla scoperta dei primi anni di vita di Carlentini. Un viaggio davvero affascinante in quanto ci fa capire nei minimi dettagli le procedure e i perché che hanno portato a fondare Carlentini. Credo che tale libro debba costituire la base per un dibattito serio e approfondito in città in riferimento al nostro presente e al nostro avvenire. Carlentini è di per sé la nostra primaria “risorsa non delocalizzabile” e capirne la storia servirebbe a rigenerare un tessuto sociale in evidente difficoltà.
Qualche parola sull’autore: Nicola Aricò, laureato in Architettura a Venezia nel 1976, ha avviato l’attività universitaria presso Architettura di Reggio Calabria. Nel 1998 si è trasferito all’Università di Messina, dove insegna Storia dell’Architettura e Storia della Città. Si è occupato di Architettura civile e militare del secolo XVI e di Storia della Città dei secoli XII-XX, svolgendo attività di ricerca presso i più importanti archivi del bacino mediterraneo, pubblicando saggi e monografie, tra cui Atlante di città e fortezze del Regno di Sicilia, Illimite Peloro. Interpretazioni del confine terracqueo, Libro di Architettura. Da L.B. Alberti ad anonimo gesuita siciliano del tardo secolo XVI. Per la casa editrice Olschki ha pubblicato Architettura del tardo Rinascimento in Sicilia, Giovannangelo Montorsoli (1547-57) (aprile 2016)
Perché la fondazione di Carlentini è un caso così interessante dal punto di vista della storia dell’urbanistica?
“Perché si provava ad applicare per la prima volta il disegno descritto dallo storico greco Polibio nel II secolo a.C. (libro VI delle Storie) relativo all’accampamento di due legioni romane. Quella minuziosa ricostruzione letteraria, tradotta in latino e poi in volgare, aveva ispirato anche tentavi grafici, cioè disegni in pianta dell’accampamento a corredo delle traduzioni. Molto più interessanti per la storia del Rinascimento erano stati i disegni elaborati da Niccolò Machiavelli nel 1521, di Albrecht Dürer nel 1527, di Sebastiano Serlio tra 1546 e 1547, di Pietro Cataneo nel 1567, i quali avevano tratto dalla descrizione polibiana la traccia classicista per progettare nuove città di fondazione, mai realizzate. La pianta di Carlentini tracciata dall’arch. Pedro Prado nel 1551 e subito avviata nei lavori è certo la prima realizzazione di città militare ispirata da Polibio. Nelle pagine 24-36 del mio libro è argomentata con dovizia di particolari questa importante origine ideologica.”
In quale contesto storico nasce l’idea di fondare la città di Carlentini?
“Nasce come esigenza militare a protezione dell’entroterra di Augusta di cui aveva scritto il viceré Ferrante Gonzaga agli inizi del suo mandato, nel 1537, e alla fine, nel 1546. Il suo successore, Juan de Vega, ereditava quei suggerimenti. La questione originava dal porto di Augusta, troppo vasto per essere oppurtanamente difeso, dunque si manifestava aperto alle invasioni dei nemici, che avrebbero potuto sbarcare e marciare verso il territorio interno della Sicilia. Occorreva dunque un importante sbarramento militare che ne impedisse il transito. Inizialmente lo stesso Gonzaga aveva immaginato che la città di Lentini potesse rispondere a questo ruolo. Ma dopo il terremoto del 1542, che aveva recato danni ingenti alla città, i costi dell’intervento erano lievitati in quantità insostenibile. Era infatti Gonzaga, nella relazione di fine mandato, a suggerire il trasferimento dei Lentinesi in una città nuova da fondare nel circondario. Una più dettagliata ricostruzione di questa premessa storica è alle pp. 1-10 del libro.”
Abbiamo tre protagonisti: Carlo V, Juan De Vega e Pedro Prado. Quali i rapporti fra queste tre persone?
“I rapporti, relativi a Carlentini, sono molto intensi tra de Vega e Prado dal 1547 al 1553, come documentato nella “scheda 2” del volume (pp.197-204). Sono del tutto inesistenti i rapporti tra l’architetto e l’imperatore. Si limitano invece alla veloce comunicazione – peraltro in contesti in cui vengono affrontate questioni di varia natura amministrativa – le rare lettere inviate a Carlo V dalla Sicilia e non sempre dal viceré.”
Chi era Juan de Vega?
“Signore di Grajal de Campos (Léon), era nato nel 1507. Al seguito di Carlo V, era stato in Germania e a Tunisi, ricoprendo incarichi di alta amministrazione della Corona, come Contador Mayor de Castilla a Toledo e viceré di Navarra. Nel quadriennio 1543-47 ricopriva l’incarico di ambasciatore dell’imperatore presso la Santa Sede a Roma. Di animo guerriero, prudente e astuto, inibiva le tracotanze dei potenti ma ascoltava i poveri, infliggevava torture ma curava i sistemi assistenziali. In Sicilia propiziava con autorità l’insediamento della Compagnia di Gesù, avendo conosciuto personalmente Ignazio di Loyola, che diveniva il padre spirituale della moglie Eleonora Osorio, figlia del marchese di Astorga. Per ciò che maggiormente ci interessa, a margine di Carlentini, si deve affermare che Juan de Vega, non proprio come i suoi predecessori né come i successori, aveva un interesse personale per l’architettura. Un seme cresciuto sin dall’infanzia nella sua formazione, non si limitava alla conoscenza dell’architettura militare – diffusa presso tutti gli importanti uomini di guerra del suo tempo – ma dilatava nel progetto di edifici residenziali e nelle infrastrutture urbane e territoriali. Questa temperie culturale lo portava alla concretezza e alla veloce attuazione, come nel caso di Carlentini, di cui è l’unico personaggio a decidere il nuovo sito e ad applicare una strategia di acquisizione delle aree, evitando la lievitazione dei costi a tutto vantaggio della Corona. Ostinato oltre ogni limite, si batteva inutilmente per una Carlentini che sostituisse totalmente la millenaria Lentini e che quindi potesse contenere il trasferimento di tutti i Lentinesi. Ma il suo mandato siciliano era destinato a concludersi con l’abdicazione di Carlo V in favore del figlio Filippo II e quindi a far rivedere l’ambizioso progetto carlentinese già al successivo viceré Juan de la Cerda, duca di Medinaceli.”
Chi era Pedro Prado?
“Le prime notizie di Pedro Prado sono ambientate a Napoli, impegnato nella scultura e nell’architettura tra 1540 e 1547. Il suo magistero veniva segnalato al neo-viceré de Vega, che lo “assumeva” con un compito ben definito: la ristrutturazione del palazzo Reale di Messina, di probabile impianto bizantino. Rimaneva nella città dello Stretto fino al febbraio 1549, occupandosi anche di tutti gli altri cantieri della Corona. Veniva poi promosso ingegnere del regno e inviato dal viceré fino al 1554 in tutti i cantieri dell’Isola, ma anche ad Africa (Mahdia) in Tunisia e a Malta, per studiare quei sistemi fortificatori. Allievo dell’architetto Luis Escrivá, che aveva rivoluzionato a Napoli i criteri della difesa con la realizzazione di castel Sant’Elmo, porterà nel regno di Sicilia quelle novità che inizialmente dovevano suonare ostiche finanche allo stesso viceré. Carlentini, già “polibiana” nell’impianto morfologico, avrebbe applicato il nuovo insegnamento proveniente dall’opera di Escrivá. Non è nota la data di morte di Prado, ma si desume dai documenti: avveniva tra la fine del 1554 e i primi mesi del 1555. L’importante attività di Prado è argomentata nel libro alle pp. 37-97 e documentata nella “scheda 2” alle pp. 197-204.”
Ci vuole delineare il complesso delle attività e degli eventi che accaddero dall’idea di fondare la città alla sua costruzione?
“Nella Scheda 3 del libro, “Cronologia Carlentini aprile 1551-agosto 1554” (pp. 205-210), sono elencati tutti i più importanti documenti che hanno consentito la ricostruzione scientifica della fondazione urbana, con brevi regesti, spesso trascrizioni di frasi epistolari.”
Quali fonti ha consultato per redigere il volume?
“Come si può dedurre dalle note, la ricerca è stata prevalentemente svolta presso l’Archivio di Stato di Palermo nel grande serbatoio del Tribunale del Real Patrimonio (Lettere Viceregie, Memoriali e Numerazione Provvisoria). Ma è stato necessario approfondire e rintracciare alcuni dati mancanti sia presso i notai dell’Archivio di Stato di Siracusa, sia in Spagna nell’Archivo General de Simancas.”
Dall’analisi dell’enorme mole di documenti capisco che la genesi della città è stato un processo complesso e lungo…
“Fondare una città non è attività facile. Volerci trasferire un’intera cittadinanza (i Lentinesi), che non intende abbandonare le case avite, è pura utopia. Gli ostacoli incontrati sia dal viceré, sia dal progettista sono la testimonianza più diretta della storia fondativa di Carlentini. Il disegno iniziale, infatti, doveva essere revisionato per risintonizzarlo con i veri utenti della città nuova. Gente povera in cerca di soluzioni residenziali minime che nessun rapporto potevano avere con la tipologia a corte inizialmente disegnata da Prado per il primo filare di insule.”
Carlentini riflette modelli di città già esistenti all’epoca, quali?
“L’unica città di fondazione che anticiperebbe di qualche hanno Carlentini è la medicea Portoferraio all’isola d’Elba (1548), città di mare, così come La Valletta (1566) a Malta. Carlentini è comunque la città che più aderisce allo schema polibiano, che certo non fa alcun riferimento al mare o alle coste.”
In che modo sono stati “armonizzati” nel tessuto urbano di Carlentini?
“L’architetto o ingegnere militare Prado non ha “armonizzato” nel suo disegno progettuale una città esistente, ma ha seguito i criteri riferiti da Polibio nel descrivere la tracciatura del castrum romano per due legioni.”
Ci può parlare delle c.d. “insulae”? e delle loro caratteristiche?
“Ciascuna insula di Carlentini (la sua pianta), pure conservando ancora oggi un’identità discendente dall’idea progettuale originaria, reca una propria storia attuativa e un processo di trasformazione. I primi episodi insediativi, dunque le relative assegnazioni di lotti, erano stati valutati dal progettista all’interno di uno schema rinascimentale quadrato con corte centrale il cui lato misurava circa m 50, dunque i lotti ricadevano sul perimetro e potevano idealmente essere assegnati secondo il fabbisogno del richiedente. Sin dai primi numerosi assegnatari di lotti da edificare, si comprese subito che si trattava di gente povera, e che l’impianto progettuale ideale non poteva funzionare sia per l’eccessivo consumo di superficie proprio a causa dell’impianto a insulae quadrate, sia per le oggettive necessità di lotti minimi da circa 100 metri quadrati, in cui combinare l’area costruita e l’area esterna. Prado era costretto a dimezzare le insulae in m 50×25 per ottenere maggiore disponibilità di lotti lungo il perimetro (passando da m 200 a 150+150). Il problema nasceva nelle assegnazioni dei lotti minimi, affidate a figure dell’amministrazione che, dovendo soddisfare la domanda elevata, dopo avere concesso le aree perimetriche, dovettero passare a quelle interne, dovendo altresì prevedere la viabilità per raggiungerle e le relative servitù di passaggio. Nessun tecnico governò questa delicatissima fase attuativa, per cui il caos finì con l’avere il sopravvento sui criteri dell’assegnazione. Ancora oggi ogni insula disvela, nel proprio disegno catastale, l’anarchia dei piani esecutivi.”
Possiamo definirle come l’elemento base del tessuto connettivo urbano della città?
“Indubbiamente si. I processi che hanno delimitato i lotti interni e la viabilità tra gli stessi lotti, quindi gli accessi dalle strade esterne, fanno di ogni insula un caso di studio per l’urbanista. Alle pp. 133-160 del libro si argomentano questi processi formativi anche con l’aiuto di alcuni disegni di insulae campione.”
Quali le caratteristiche precipue della città?
“Ciò che caratterizza Carlentini è il sistema della difesa, in buona parte visibile ancora oggi. Sia perché, nonostante i discutibili interventi dei decenni passati, trasmette con chiarezza l’intervento “naturale” originario, cioè il criterio di “scolpire” la pietra per creare il pomerio esterno, da integrare con le murature in elevazione; sia perché quella cinta muraria, in alcuni tratti della morfologia urbana, è rimasta inalterata nel rapporto con la volumetria urbana, da un lato, e il paesaggio delle vallate, dall’altro.”
Quale idea di città doveva trasmettere un tessuto urbano così congeniato?
“Il tessuto urbano rientra nell’ambito delle città ideali, benché sia stato notevolmente modificato dall’espansione a sud. Doveva trasmettere la chiarezza, l’ordine, la facilità di raggiungere le sue parti, così come nell’accampamento romano. Nello stesso tempo, non dal tessuto ma dal sito del tavolato, doveva consentire un controllo totale sulle vallate che lo circondavano. Dunque avrebbe dovuto trasmettere sicurezza.”
Quali riflessioni può avanzare sulla Carlentini di oggi?
“Riflettere su Carlentini è come riflettere sull’utopia che si materializza, disperdendo non solo il fascino dell’irrealizzabile, ma mostrandone le ragioni lungo il processo dell’esecutività. La sensazione che si prova – e che il mio libro finisce con l’esaltare – è la “delusione” tra la realtà della visita e le aspettative del disegno ideale della città, in altri termini tra Architettura e Urbanistica. Bisognerebbe allora inventarsi qualcosa capace focalizzare l’Urbanistica insieme al sistema fortificatorio, di guidare alla scoperta di Carlentini in quanto originata da un progetto di “città ideale”. Le dimensioni lo consentono perché i luoghi coinvolti sono facilmente raggiungibili con trasferimento pedonale.”
Rispetta ancora l’impostazione cinquecentesca?
“ Abbastanza. Il segno catastale l’ha salvata nei vari e differenti processi ricostruttivi. Tranne ovviamente nell’appendice espansiva a sud.”
Il modello delle “insulae” può ancora essere valido per il futuro?
“Certo. Le insule costituscono le tessere autentiche per l’identità urbana. Bisognerebbe programmare uno strumento urbanistico particolareggiato con importanti letture dell’intero patrimonio tipologico per ciascuna insula. E con interventi di salvaguardia. Insomma bisognerebbe condurre con regia “sapiente” un rilancio davvero “colto” della città.”
Link alla recensione del libro del Prof. Aricò pubblicata qualche tempo fa: http://radiounavocevicina.it/main/?p=7030