di Emanuele Gentile
CARLENTINI – Che tristezza la nostra città… Una città chiusa. Sembra che la vita che l’animava prima sia espatriata non so dove. Volatilizzata. In un altrove indefinito. Tutto appare sospeso. Siamo fermi. Stiamo attendendo che l’emergenza passi. Stiamo attendendo e basta. Il tempo non passa. Eccome se non passa! Non sappiamo quando questo maledetto virus terminerà il suo viaggio. Quando ritorneremo alla normalità? Cioè ad assaporare momenti semplici che aiutano a vivere meglio. Attorno c’è un silenzio irreale. Che fa paura. Impalpabile. Tanti sono i sentimenti che si stanno accavallando in questo momento drammatico quanto particolare. La conseguenza visibile è – lo ripetiamo – che la nostra Carlentini è una città chiusa. C’è una comunità rinchiusa in casa. I bambini devono rimanere dentro e non hanno più la possibilità di giocare fuori. Chi va a lavorare lo fa con mille precauzioni. C’è gente che lavorava ed ora è a casa. Gli anziani per i quali la passeggiatina era una mano santa sono costretti in casa. Tutti noi siamo in una situazione terribile. Una situazione in grado di modificare la nostra sensibilità e psiche. In breve, la nostra percezione della realtà. Come reagiremo alla realtà che ci circonda allorquando avremo la possibilità di ritornare ad una vita normale? Un interrogativo di non poco conto. Da tenere bene in considerazione. I legami famigliari sono di fatto interrotti. D’accordo c’è il telefono, ma il contatto “face to face” è un qualcosa che fa bene al cuore. Eccome. Immaginatevi i bambini a cui si impedisce di andare a visitare i propri nonni. Oppure i nonni per i quali i nipoti sono il tesoro più prezioso della loro vita. L’allentamento dei rapporti umani è uno degli effetti più devastanti e pesanti del virus che sta corrodendo i nostri modelli di vita. Modelli di vita cementati nel corso di decenni e per cui le passate generazioni avevano lottato senza sosta. Come ristabiliremo i succitati contatti dopo la fine dell’emergenza? Che qualità daremo a quel complesso mondo di affetti e relazioni che costituiscono una delle basi principali della nostra vita? Il virus sembra essere uno strumento contro codesto mondo. Appare come un grimaldello costruito ad arte per sabotare la socialità di noi esseri umani. Vuole l’allontanamento generale e generalizzato della popolazione della nostra città? Ebbene, ha ottenuto una vittoria schiacciante. Ci vieta di far capire che vogliamo bene a una persona. Non possiamo darci la mano o abbracciarci. Anzi dobbiamo rimanere a un metro di distanza. Peggio. Dobbiamo rimanere a casa soli. I contatti con gli altri sono delegati all’elettronica. Cellulari. Internet. Il che non è positivo. E’ un pericolo che pagheremo in seguito. La socialità è il modo con cui gli esseri umani sentono di far parte di una comunità. Una comunità – quella della nostra Carlentini – al momento sospesa. Per il dopo ci sarà un enorme lavoro da compiere per ricollegare tutti noi alla nostra città. Non bisogna darla vinta al virus. Ci ha costretti all’isolamento. Dobbiamo evitare con ogni forza che possa infettare la basi stesse della nostra vita. Carlentini da città chiusa dovrà trasformarsi in una città aperta in grado di far vivere una vera vita a tutti i suoi cittadini. In opposizione all’avvilente realtà di questi giorni tristi e strani. Quando guardiamo dalla finestra di casa nostra quello che succede nel quartiere dobbiamo pensare che stiamo vivendo un sogno infausto. Un sogno infausto breve. Così speriamo… Quella stanza che oggi è il nostro cielo presto si trasformerà nel cielo a cui eravamo abituati nella vita normale di tutti i giorni. Quel cielo delle nostre passeggiate. Oppure dei nostri viaggi. Od ancora delle feste cittadine. Si ora la nostra città è chiusa. Prepariamoci a riaprirla. Punto e basta!