Fin quando Ciccio Guercio ha potuto, non era raro incontralo in Piazza Diaz o per le vie cittadine che lo portavano a casa sua. Era l’occasione per condividere un pezzo di strada assieme. All’andata o al ritorno. La nostra amicizia rimontava indietro nel tempo in virtù di quella che collegava lui a mio padre Sebastiano Gentile. Raccontare Ciccio Guercio significa raccontare la storia della nostra città e comunità degli ultimi decenni.
Ne è stato un indiscusso protagonista. Un protagonista assieme agli altri e mai in solitario. Perché per Ciccio Guercio l’attività nel campo sociale e politico rimava con la parola “comunità”. Non si può essere fattivi per il proprio paese allorquando ci si considera il re del mondo. Al contrario, si è fattivi nel momento preciso in cui uno comprende che fa parte di un insieme più grande. Ossia la comunità del paese in cui si vive. In ciò risiede la grande lezione di Ciccio Guercio. Una lezione che gli attori sociali e politici di oggi tendono a dimenticare. Peggio a dimenticare, punto e basta.
Colpiva, altresì, l’estrema lucidità del pensiero di Ciccio Guercio. Non ragionava mai d’impulso, per partito preso o per sentito dire. Ciccio Guercio intendeva conoscere di ogni argomento il più piccolo dettaglio. Non tralasciava nulla al caso. Tutto questo gli permetteva di avere una visione puntigliosa e approfondita dei temi sociali e politici in discussione. Una visione frutto di un’elaborazione di primo ordine. Una visione originata da un processo di rigogliosa riflessione politica. Già questa riflessione politica che latita del tutto ai nostri tempi. La riflessione di Ciccio Guercio nasceva da un seguire attento e vivo l’evoluzione della storia contemporanea sia a livello internazionale, nazionale, regionale che locale. Tutta la realtà era ben presente in lui dandogli aggio a un’elaborazione politica non comune.
Cercava il dialogo ad ogni costo. Mentre si passeggiava veniva avvicinato dai suoi concittadini con i quali discuteva in maniera forte e vivace. Nel dialogo emergeva il carattere singolare dell’uomo. Difendeva le sue posizioni e, allo stesso tempo, amava il contraddittorio. Perché per Ciccio Guercio il dibattito era una delle modalità privilegiate per comprendere i problemi ed avviarli a giusta soluzione. Una soluzione che mai discendeva da un singolo, bensì dall’incontro con gli altri. Da notare il tratto di estrema umanità con cui interloquiva con la gente. Un tratto che denotava rispetto e saggezza.
Mentre si passeggiava gli argomenti oggetto del nostro parlare erano innumerevoli e avevi l’impressione di sfogliare il libro mastro della storia della nostra Carlentini. Peccato non aver avuto un registratore. Le sue memorie avrebbero potuto costituire un libro di memorialistica e cronaca carlentinese di rara efficacia.
Vorrei ricordare tre episodi.
Passo da Piazza dei Sofisti a Lentini ed incontro Ciccio Guercio assieme al farmacista Rocco Sangiorgio. Mi avvicino. I due parlavano amabilmente. Rocco Sangiorgio inizia a parlare con me. Mi ricorda quanto Ciccio Guercio operasse in maniera positiva affinché i farmacisti di Carlentini fossero pagati in maniera puntuale dalla Regione. Mai sorgeva nessun problema poiché alla Regione sapevano che Carlentini aveva un amministratore attento e partecipe in tutto e per tutto alla vita della sua Carlentini.
Fu assessore al bilancio con Ciccio Guercio sindaco il bracciante Paolo Brogna. Orbene, quelle giunte formate massimamente da persone appartenenti alla classe bracciantile ed operaia carleontina riuscivano sempre a chiudere il bilancio senza alcun problema assicurando il regolare pagamento degli stipendi ai dipendenti comunali e l’erogazione dei servizi alla cittadinanza. Il buon senso contadino come buon governo della città. Una dote – ahimè! – caduta in abbandono.
Infine, Ciccio Guercio mi ricorda quel concitato dicembre del 1968. Concitato perché ad Avola avvennero gravissimi scontri fra le forze dell’ordine e i braccianti che chiedevano 300 lire mensili per il loro salario integrativo. Ad Avola, ricordo, furono uccisi due contadini. E’ bene non dimenticarsi di tale dolorosissimo fatto. Anche a Carlentini la situazione non era tranquilla. Anzi, i Carabinieri volevano passare alle vie di fatto. Grazie alle continue telefonate di Ciccio Guercio in Prefettura si riuscì ad evitare il peggio con il risultato di far rientrare in caserma l’Arma. Solo quando c’è un sindaco autorevole – e Ciccio Guercio lo era – i problemi riescono ad addivenire ad una giusta e ponderata soluzione.
Il racconto degli episodi della vita di Ciccio Guercio potrebbe andare avanti all’infinito. A testimonianza di una vita spesa – mi piace ripeterlo – assieme ai suoi concittadini. Questa visione di “assieme” fu una delle ragioni dello straordinario progresso che Carlentini registrò in quegli anni. Il progresso si realizza quando c’è un tessuto sociale coeso e unito. Che funge da volano per l’intiera comunità. Altrimenti si cade nel declino come si sta verificando nella Carlentini dei giorni nostri. Allora c’era il popolo carlentinese ora c’è solo, purtroppo, il carlentinese. Notate la differenza?
Dovremmo ritornare allo spirito di quegli anni per svincolare Carlentini dal presente anonimo in cui si è infilata. E ricordare la bella figura di Ciccio Guercio è un impulso possente e facondo per rimetterci in cammino. In fondo qual è l’insegnamento fondamentale che ci ha lasciato Ciccio Guercio in eredità? Attenzione costante e puntuale nei confronti del territorio. Quando eravamo attenti al nostro territorio l’agrumicultura era la sua forza trainante. Dal momento in cui abbiamo abbandonato l’agrumicultura abbiamo cessato di guardare al territorio. Con il risultato che noi tutti carlentinesi conosciamo.
A proposito quando l’Amministrazione comunale deciderà di ricordare degnamente Ciccio Guercio? Tutti parlano di “comunità” e di “territorio”. Ricordarlo sarebbe un opportuno strumento di riflessione sul presente di Carlentini in proiezione futura. Perché Ciccio Guercio guardava sempre al futuro.