Carlentini, Quando l’anima si stanca della vita.Perché? Se è possibile dare spiegazioni

Carlentini, Quando l’anima si stanca della vita.Perché? Se è possibile dare spiegazioni

di Emanuele Gentile
CARLENTINI – La notizia ha generato profonda tristezza nella popolazione della nostra città. Molti i sentimenti che si sono manifestati in tale amaro frangente. Stupore. Sgomento. Incredulità. Compassione. L’atto del suicidio rappresenta un’azione estrema senza possibilità di ritorno. E’ un atto drastico. Con esso si recide quel legame – sempre e comunque fragile – con la vita. Perché la vita è un’entità fragile. Non è un fatto acquisito. La vita si conquista ogni giorno con ardore e sacrificio. Per vivere bisogna bruciare di vita. Invece, quando si sente la fiammella della vita affievolirsi perché la vita è di sé difficile allora tutto inizia ad essere terribilmente difficile. Ogni momento della medesima appare simile a una montagna la cui conquista appare ardua. Ogni suo divenire sembra un gioco complicato che non ha alcun senso. Ogni momento della vita ha la capacità di metterci sempre in crisi. Alla fine quel succitato legame si rompe e la fiammella della vita si affievolisce. E’ un tragico gioco e tu ne sei stato il protagonista perdente. Purtroppo… Il tuo suicidio è un atto che dovrebbe farci riflettere. Proprio per le considerazione espresse poc’anzi. Ossia che la vita è un filo esile. Non ce ne rendiamo conto, ma la realtà è questa. Viviamo in una situazione di estrema debolezza. Ci crediamo forti, invincibili, sfrontati e baldanzosi. Eppure lo spegnersi della vita è un aspetto costante della vita. Il filo su cui si erge la dicotomia vita e morte è così tenue che è facile passare in men che non si dica dalla parte della morte. E’ un attimo. Un attimo di nulla. Un attimo senza peso alcuno. Tutti noi sembriamo come quell’equilibrista che in un attimo fugace perde l’equilibrio e precipita nel vuoto. E’ un attimo, lo ripeto. Non si ha neanche il tempo di pensarci che l’atto estremo si è già compiuto. Molti dicono che bisogna attaccarsi alla vita per evitare di cadere. Considerazione giusta, giustissima ed opportuna. Tuttavia tale espressione assume i caratteri del puro formalismo. E’ facile invitare qualcuno ad attaccarsi alla vita quando la ragione stessa del problema è la vita. La classica sindrome del cane che si morde la coda. Né più né meno. Tu non hai avuto una vita in discesa. Anzi. La vita più di una volta ti ha presentato il conto in maniera molto salta. E quando i momenti no si accumulano il peso della vita appare improbo da sopportare. La vita allora diventa una questione di resistenza. Riesce a sopravvivere chi resiste il meglio. Chi, al contrario, si fa continuamente piegare dalla avversità della vita conduce una vita che diventa un mero simulacro. Con il risultato che può decidere di abbandonare la vita. Tout simplement. Ho scritto di ardore, sacrificio e di una vita che va vissuta letteralmente bruciando. Dovrebbe essere così, ma è un impegno totale e gravoso. Altro che! Ognuno ha la sua storia. Non tutte le storie sono identiche. La vita è un insieme di diversità costruite con tanti elementi differenti l’uno dall’altro. Nessuna vita è simile. In questi momenti così duri per la nostra comunità a seguito dell’atto estremo di un nostro concittadino non dobbiamo cadere nell’errore di sviluppare discorsi rasenti la paternale. Sarebbe un errore grave indice di una mancanza di sensibilità. Quello che ognuno di noi dovrebbe fare è ragionare su quanto accaduto per capire come migliorare la nostra vita. “Nostra vita” non nel senso di vita personale, ma di vita di un insieme di persone che vivono la medesima città e formano una comunità. Ecco…se ognuno di noi lavorasse in codesta direzione la vita di noi tutto ne gioverebbe in positività riducendo al massimo l’eventualità che possano accadere fatti tristi. Ecco, dunque, appalesarsi la lezione che dobbiamo noi tutti trarre dall’evento luttuoso che ha profondamente segnato la nostra città. Fare comunità senza lasciare nessuno fuori e indietro. Solo facendo capire ad ognuno che è parte della comunità in cui vive allora la sua vita potrà essere davvero positiva e da vivere nella maniera più soddisfacente e piena possibile. In sintesi, c’è molto da lavorare affinché le male piante della superficialità e dell’indifferenza non alberghino fra di noi. Quando esse sono presenti la vita può assumere i connotati di una “via crucis”. Il che non è consentito.

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