Carlentini, Successo di pubblico al Teatro comunale “Turi Ferro” con Pippo Pattavina e Marianella Bargilli in  “Uno,nessuno e centomila” per la regia di Antonello Capodici.

Carlentini, Successo di pubblico al Teatro comunale “Turi Ferro” con Pippo Pattavina e Marianella Bargilli in “Uno,nessuno e centomila” per la regia di Antonello Capodici.

CARLENTINI –  Pippo Pattavina e Marianella Bargilli sono i protagonisti di “Uno, nessuno e centomila” andato in scena al Teatro comunale “Turi Ferro” di Carlentini il 18 dicembre scorso, appuntamento della stagione teatrale 2021/2022. Il cartellone teatrale è stato promosso dall’Associazione “Teatro – Arte” con la collaborazione del comune di Carlentini e la direzione artistica di Alfio Breci.  La nuova riduzione teatrale del romanzo di Luigi Pirandello  è firmata da Antonello Capodici. Nel cast anche Rosario Minardi, Giampaolo Romania e Mario Opinato. Le musiche originali sono di Mario Incudine, le scene di Salvo Manciagli, i costumi firmati dalla Sartoria Pipi. Il gioco delle scenografie e delle luci  hanno accompagnato l’ interpretazione degli attori e il messaggio dell’ opera, in maniera eloquente e perfettamente in linea con le dimensioni oniriche del soggetto e i suoi momenti di realtà.    Da “Girgenti”, in Sicilia, nasce un genio della letteratura Italiana, maestro della scrittura e maestro di vita attraverso le sue opere, una delle quali porta il titolo di “ Uno, Nessuno e Centomila”. Qualsiasi lettore o spettatore abbia avuto il primo approccio con il titolo di quest’ opera, si è soffermato a riflettere sul significato recondito, catapultandosi nel turbine della riflessione, del ragionamento e della semantica delle parole. Esattamente questo accade sul palcoscenico, con la maestosa interpretazione del grande Pippo Pattavina che apre il sipario all’ epilogo dell’esistenza di “Gengè “ indossando una triste camicia bianca , le spalle curve e lo sguardo smarrito. Lì, sotto accusa, indossando le vesti del mentecatto, manifestando un senso di alienazione ed estraneità rispetto al prossimo, rispetto alla sua essenza, assumendo un rapporto conflittuale con sé stesso e con gli altri, rimane vittima di una penosa stupidità che contamina il genere umano.   Luigi Pirandello, che vive pienamente i percorsi letterati del novecento, utilizza ogni influenza proveniente dalla psicanalisi di Sigmund Freud, nel momento in cui l’Io e il Super-Io si scontrano all’ interno di una dimensione onirica che cozza con la realtà. Luigi Pirandello farà uso dello “ Stream of Consciousness” ( Flusso di Coscienza ) di James Joyce, nel momento in cui il personaggio si tuffa fra il passato e il presente, attraverso flashback, sovrapposizioni di ricordi, facendosi trasportare dal flusso della sua coscienza e della sua intelligenza emotiva stritolata dalla realtà che sta vivendo. Attraverso l’introspezione psicologica che il protagonista fa di sé stesso, si rivela la semantica del titolo di quest’ opera straordinaria, il personaggio stesso arriva ad una consapevolezza, alla scoperta della verità…una rivelazione, quella che James Joyce chiama “Epiphany”.  “ Epifania” così come s’ intende nel significato religioso del termine, quando il “ Salvatore” fù una Rivelazione per i Re Magi e l’ Umanità intera. Ecco…il protagonista si fa maestro di vita e lascia una lezione esistenziale allo spettatore, al lettore, all’ “essere umano” che sul palcoscenico sta interpretando. Vitangelo è ognuno di noi, ogni individuo che ad un certo punto della vita, si rende conto di essere ciò che non vuole essere, che dentro di sé  è diverso da ciò che gli altri vogliono che lui sia. Egli realizza che in realtà sta vivendo una vita che non è sua, sta dentro un ruolo sociale che lui non vuole. Il suo stesso nome gli è stato tolto, per gli altri lui è  “ Gengè”.

Ecco…Vitangelo ci racconta il malessere sociale in cui l’essere umano esperimenta il suo mal di vivere, nascendo con un cognome che non può scegliere, ereditando anche il fardello del passato.

E così Vitangelo, ricordando velatamente il Romeo di Shakespeare, argomenta sul significato del nome e la reputazione che con esso si eredita, con le sue ombre e le sue reputazioni. Solo alla fine se ne libererà, spogliandosi dalle vesti che non sente sue, lui rinascerà.

Nel momento in cui, l’individuo cerca di cambiare immagine, cerca di essere sé stesso, distruggendo le “centomila” versioni create dalle figure sociali che lo circondano, queste ultime lo considerano un mentecatto, e il mentecatto diverso da ciò che lo vedono gli altri, si sente “nessuno”.

Ma…paradossalmente, nella sua vera versione, acquisisce la libertà di essere sé stesso, di vivere la sua “essenza” e solo alla fine, si sente “Uno”, il solo che lui abbia voluto mai essere.

Solo dopo aver trascorso una vita che avrebbe potuto cambiare, quando ancora era in tempo per poterlo fare, si rende conto di aver svelato il suo vero “ essere “, di poter pensare da uomo libero non curandosi delle dicerie e dei disturbi verbali delle persone che dicevano di amarlo. Ma questi amavano solo una versione dell’uomo che piaceva a loro, e nel momento in cui lo stesso uomo difende la sua libertà si essere umano…viene biasimato.

Per fortuna, Vintagelo, non più Gengè, ha piena consapevolezza del male che si è fatto e trova la capacità di rinascere, trovando i punti di forza dentro sé stesso, usando i suoi lati più forti.

Rinasce liberandosi dalle situazioni che lo facevano stare male, vivendole con uno scudo emotivo che lo avrebbe protetto.

Dalla sofferenza rinasce scoprendo la bellezza nelle cose semplici ma importanti che aveva a portata di mano, ma non li vedeva.

Rinasce alla vista di una nuvola, alla vista di una pianta, al sentire il canto di un uccellino…cioè, rinasce nella bellezza della Natura, e ci riesce perché l’uomo è un tutt’ “Uno” con la Natura, è la sua casa, nasce da lì…l’uomo è Natura. Il nostro maestro Luigi Pirandello, con questo capolavoro ci ha “rivelato” la strada per rinascere: l’Uomo ce la può fare rinascendo nella Natura e nell’ Amore verso sé stesso.

“Un’opera attualissima – spiega il regista Antonello Capodici – nella descrizione della perdita di senso che l’uomo contemporaneo subisce a fronte del sovrabbondare dei grandi sistemi antropologici e sociali, che finiscono con l’annullarlo, inglobandolo: dallo Stato alla famiglia, dall’istituto del matrimonio al capitalismo, dalla ragione alla follia”. “Non tragga in inganno la struttura tradizionale del romanzo d’origine – avverte ancora Capodici – sì che ribolle delle stesse ferocie familiari che hanno reso l’autore l’intelligenza più acuta, crudele, definitiva di tutto il NovecentoOggi parleremmo di “disfunzionalità” e “disturbi del comportamento”. Pirandello, infatti, anticipando di decenni le conclusioni della “Gestalt”, descrive, in realtà, dei sintomi. Scopre, fra le pieghe di un apparente “feuilleton”, una vasta rete di disturbi e nevrosi, epitome di un più ampio malessere, che contagia le società moderne come, tutt’oggi, le intendiamo”.

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