CARLENTINI – La Catania dell’Ottocento, con “ I Viceré”, si sposta dalla Sicilia e approda al Quirino di Roma con lo straordinario Pippo Pattavina. Da quì, rientra a casa e approda al Teatro Turi Ferro di Carlentini. Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Federico De Roberto, insieme a Pippo Pattavia, entrano in scena: Sebastiano Tringali, Rosario Minardi, Francesca Ferro, Rosario Marco Amato, Nadia De Luca, Giampaolo Romania, Francesco Maria Attardi, Elisa Franco, Pietro Barbaro, Giovanni Fontanrosa, Alessandra Falci, Giuseppe Parisi, Federica Breci, Diana D’Amico, Rugero Rizzuti, regia di Guglielmo Ferro, assistente alla regia Alessia Zircone.“I Viceré” è la storia di una nobile famiglia catanese divorata dall’ odio, dall’ avidità e dalla sete di danaro. Unico elemento che accomuna ogni membro della famiglia Uzeda, è la miseria interiore. L’ ambientazione e le scene straordinariamente dirette da Salvo Patania, ci conducono in una Catania della metà dell’ ottocento, divisa fra i sostenitori del governo dei Borboni e i simpatizzanti dei Liberali, che credono nell’ idea di un’ Unità Nazionale dell’Italia.Il sipario si apre su una scena corale, che vede tutta la famiglia Uzeda di Francalanza, riunita in occasione della scomparsa della principessa Teresa Uzeda di Francalanza. Da subito l’ autore ci presenta i personaggi per quelli che sono, ne dipinge i tratti meschini e scadenti della loro condizione intima e sociale. Essi non si trovano riuniti per condividere il dolore della principessa scomparsa, ma per condividere la lettura del testamento che diventa unico argomento di scontro e discussioe, poichè erede universale dell’ eredità non è solamente il primogenito, ma anche il prediletto terzogenito Raimondo. L’ incontro sfocerà in una serie di scontri, contraddizioni, sotterfugi, intrighi, bugie, malintesi e tradimenti. Attraverso le stupefacenti scenografie e i magnifici costumi della sartoria “ Pipi” di Palermo, lo spettatore ha l’ impressione di essere personaggio, egli stesso, di quello spaccato storico del Risorgimento, con tutte le sue contraddizioni e mancanze. Del resto, la carrellata degli equivoci e delle miserie sono facilmente riconoscibili allo spettatore, poichè all’ interno dello show di tutta la storia dell’ Umanità, gli intrighi e gli inganni sono stati sempre una “conditio sine qua non” al raggiungimento del potere dell’ uomo avido e ipocrita. Non a caso, lo stesso Pippo Pattavina, interprete di Don Blasco, definisce la pièce un’ “ opera monumentale”. Certamente lo è, nella misura in cui, ogni volta che cambia una scena, ricca di carattere narrativo, sembra che si sfogli una pagina del libro di De Roberto, il quale ha deciso di “intagliare” nella memoria dello spettatore, tutte le ataviche problematiche Universali che hanno cratterizzato il percorso umano. Personaggio intorno al quale rutano le riflessioni e le lamentele di tutti, è proprio quello di Don Blasco, con il suo umorismo, il suo parlare vivace e il suo sconcertante “modus operandi”. Fuori da ogni condizione religiosa e cristiana, profana il saio che indossa, passa le sue notti amoreggiando con donne discutibili, esageratamente trasgressore, ama il vino e il tabacco. La trama narrativa, così arricchita, diventa volutamente metafora e denuncia dei vizi della società di quel tempo che riflette, come uno specchio, la società moderna. Nel frattempo, lo spettatore assiste alla camaleontica posizione politica dei personaggi che cambiano ideologia, solo per convenienza, in base alla corrente dei venti del momento e tristemente realizza che, il collante che tiene tutti i personaggi sulla stessa scena, non è l’amore per la famiglia…ma l’ odio. Un forte sentimento di odio, rivolto anche al personaggio più giovane, che riceve solo punizioni e maltrattamenti da un padre che a sua volta, non ha mai ricevuto amore dai suoi genitori. Argomento delicato, introdotto da un monologo introspettivo e struggente, all’ interno del quale una voce stridula, si spezza e racconta il dolore del personaggio, quasi giustificandolo. Le scene si susseguono alla stessa maniera di come si sfogliano le pagine di un libro, e fra una pagina e l’ altra, nella memoria dello spettatore e del lettore, riecheggiano gli scenari Manzoniani, i “misunderstanding” ( equivoci ) Shakespeariani, si respira l’ area Gattopardiana, risuona la voce del “ San Manuel” di Miguel de Unamuno e si sente l’ amaro in bocca che lasciano gli stolti, la cui storia gira, viaggia attraverso il tempo e si ripete.