Catania, Il consigliere del Csm Sebastiano Ardita ha raccontato nel libro: “Cosa nostra SpA”: atti e fenomeni non solo di mafia, guerre di mafia ma anche di politica, infiltrazioni, collusioni, disillusioni

Catania, Il consigliere del Csm Sebastiano Ardita ha raccontato nel libro: “Cosa nostra SpA”: atti e fenomeni non solo di mafia, guerre di mafia ma anche di politica, infiltrazioni, collusioni, disillusioni

CATANIA – “Tutti i fenomeni criminali organizzati sono fatti di storie di persone e le storie di persone, comunità e società anche deviate sono soggette ai ricorsi storici”, ha continuato il magistrato, “tutti sappiamo che non esiste nulla di nuovo nella storia, ma solo la rielaborazione di fatti che sono già accaduti in modalità già realizzate. Dunque il pericolo è sempre presente”. Lo ha detto il magistrato e consigliere togato del Csm, Sebastiano Ardita, durante la presentazione del suo libro ‘Cosa nostra S.p.A.’, tenutasi a Catania nel cortile di Palazzo Platamone. Il consigliere del Csm Sebastiano  Ardita ha ricordato infatti le dichiarazioni del pentito Galatolo, già prima menzionate da Nino Di Matteo, chiarendo che “l’esplosivo era già arrivato a Palermo ed era per Nino Di Matteo”. Ecco perché “ci siamo arrabbiati per le scarcerazioni dei mafiosi: non è che lo abbiamo fatto perché non ci piacciono certe scelte amministrative che avvengono nell’amministrazione penitenziaria, lo abbiamo fatto perché c’è un pericolo concreto di riorganizzazione militare di Cosa nostra. Tutto quello che si è determinato in termini di equilibrio tra Stato e mafia, rispetto a quelle che possono essere le forme di attacco allo Stato è un equilibrio che vive di variabili, ma se qualcuna di queste variabili salta, salta tutto, salta quell’equilibrio. Ecco perché il rischio dei 250 mafiosi scarcerati è enorme se ci sono capi di famiglie mafiose anche su questo territorio che sono tornati fuori dal carcere. Bisogna tenere gli occhi aperti”.
“L’amarezza maggiore che abbiamo in questi anni è quello di avere visto accanto a forme importanti di impegno culturale contro la mafia intesa anche come rapporto con il potere anche un’antimafia che ha preteso di diventare essa stessa potere ed ha quindi contraddetto se stessa”, ha proseguito il consigliere togato del Csm.
“Questo modo di intendere l’antimafia oggi necessita di due elementi fondamentali. Un elemento di attenzione a quelle che sono le dimensioni reali del fenomeno: non c’è più tempo di proclami, affermazioni e pronunce di leggi che aggravano il 41bis, che aumentano pene per reati per poi cedere di fronte ad una banalità, ad una questione che riguarda una pandemia. Quando tutti i cittadini vengono costretti a casa e i detenuti al 41 bis vengono aperti e mandati in una zona rossa per essere curati. Queste sono le assurdità di un sistema che evidentemente sta cedendo dalle fondamenta, di un sistema che è eroso da una reazione strumentalmente garantista, ma non realmente garantista. Perché il garantismo è un’altra cosa: è il rispetto dei diritti, di civiltà della pena, fa parte dello stato di diritto.
Io credo che quando si affrontano questi fenomeni non si può avere un atteggiamento ipocrita e sprezzante e non si può considerare la mafia un fenomeno sordido, squallido relegato a certi nomi e a certe famiglie e soprattutto confinato dentro certi quartieri, perché la mafia che conosciamo noi, quella di Catania è una mafia che si è alimentata nei rapporti con il potere e nell’incapacità delle istituzioni del mondo che conta di prendere coscienza di questo rapporto. Occorre invece avere una prospettiva diversa che manca a volte e che vedo sempre più spesso in questa città”.
“Io ho ancora speranza”, ha affermato poi il magistrato, “Catania è una città viva culturalmente, che ha capito che il problema non è l’emarginazione dei quartieri. Ha capito che per risolvere il problema bisogna entrare in questi quartieri, guardare questa gente e far capire che non esiste una città bene e una città emarginata che crea problemi, ma che c’è un mondo unico in cui c’è chi ha avuto la fortuna di crescere in una famiglia borghese e chi è vissuto in realtà emarginate in cui veniva alimentato il meccanismo mafioso.
“L’obiettivo in questo momento”, ha chiarito in conclusione Ardita, “è quello di entrare in questi quartieri in modo diverso, con l’atteggiamento di chi vuole riscattarsi e superare quelle barriere, di chi vuole farsi carico di ragazzini cresciuti con il papà in carcere e che hanno solo voglia di riscatto e voglia di essere accuditi e ascoltati prima che diventino criminali dalla Catania bene”.

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