Dopo Chiaramonte Gulfi, scendendo, si apre una vasta pianura che degrada fino al mare. La prima città che si incontra è Comiso. Essa ha la funzione di cerniera fra la parte montagnosa della provincia iblea rappresentata dai Monti Iblei e quella pianeggiante. Certamente ciò che attrae nella cittadina casmenea è la storia illustre di uno scrittore che ha illuminato di sé la letteratura italiana del secondo novecento. Mi riferisco a Gesualdo Bufalino. E’ domenica. Una domenica d’estate. Poca gente in giro. C’è chi va a messa oppure gli anziani si riuniscono in Piazza Fonte Diana o in Piazza delle Erbe. Impressiona il numero di società artigianali o bracciantili ancora operative a Comiso. Retaggio di un passato dai caratteri forti in cui il lavoro manuale assumeva un ruolo essenziale nella vita cittadina. Sono rimasto ore a parlare, sotto un sole cocente, con questi ultimi testimoni di un mondo che è oramai spento. L’agricoltura e l’artigianato di oggi sono tutt’altra cosa rispetto ai decenni trascorsi. Questi nobili uomini mi hanno raccontato degli anni del passato con indicibile nostalgia. Uno mi ha riferito quando andavano a Napoli per manifestazioni di contrasto nei confronti dei fascisti. Il ricordo di Gesualdo Bufalino è molto vivo in loro. Il Maestro ha avuto un rapporto intenso con Comiso e i suoi cittadini pur conducendo una vita molto discreta e riservata. Lo ricordano in maniera vivida al parimenti delle istituzioni locali. Mi aiutano a rintracciare le due abitazioni in cui ha vissuto Gesualdo Bufalino. La prima, quella originaria, sita nei pressi della Chiesa di San Giuseppe sita nel quadrante sud di Comiso. Da quelle parti si dipana la c.d. Via dell’Oro ove anticamente tutti i commercianti di oro e i gioiellieri tenevano bottega. Ora sono rimasti in tre. L’altra casa natale dello scrittore è sita nei pressi della Villa Comunale e più precisamente in Via Architetto Mancini. Qui si trasferì con la madre. Andando in giro per il centro storico di Comiso che ruota attorno a Piazza Fonte Diana ho avuto modo di visitare le terme passandovi sopra le grate che ne permettono la visione, la succitata Piazza delle Erbe ove si teneva anticamente il mercato i cui locali ora sono tenuti dalla Fondazione Bufalino, il Museo Civico di Storia Naturale (un’interessantissima realtà museale), l’ex Chiesa del Gesù, la Chiesa della Santissima Annunziata, il Teatro Comunale Naselli. In breve un viaggio nella storia dai tempi dei romani fino ai nostri giorni che ci da un’idea di una città dal continuum storico senza interruzione. Ho notato che il centro storico di Comiso vede la presenza di una folta comunità di origine maghrebina a testimoniare la drammaticità del fenomeno dell’immigrazione con relativo sfruttamento di queste persone. Anche se ho percepito che i comisani hanno molto ben accettato la presenza di questi sfortunati fratelli prestando loro aiuto e solidarietà. Non potevo terminare la mia visita a Comiso non andando a rendere omaggio al sacello di Gesualdo Bufalino. Lo trovate – in caso vi trovate a Comiso – al blocco n. 25 del cimitero comisano. Entrate dall’ingresso principale, andate subito sulla destra e notate attentamente il filare delle tombe poste sulla sinistra. Una visita emozionante e commossa a un grande della nostra letteratura rivelatosi in tarda età. Ricordare Gesualdo Bufalina significa amare la scrittura come modalità per capire noi stessi e raccontare le illusioni e i sogni che ci circondano. Infine, vorrei chiudere l’articolo con una poesia che Gesualdo Bufalino scrisse in onore al Fiume Ippari che costeggia Comiso. Una poesia dove il fiume e lo scrittore si uniscono in un incontro commovente e pieno di sentimenti.
Ippari vecchio, bianchissimo greto
a te ho consegnato la mia infanzia,
l’empia novella t’ho raccontato.
Come serpi nelle tue crepe
stanno tutti i miei giorni ad aspettarmi,
sotterrata nell’acque tue
c’è la pietra del mio cuore.
Ippari vecchio, fiume di vento,
voglio un’estate venirti a trovare.
Quanta rena di tempo è volata
fra le tue sponde di luce veloce,
quante tacquero trecce scellerate
ai davanzali che non scordo più
Ah moscacieca d’occhi e di scialli,
ah vaso mio di basilico scuro,
bocca murata dell’amor mio!
Ippari vecchio, fiume ferito,
fammi sentire la tua voce ancora.
Per strade rosse me ne sono andato,
per strade nere ritornerò;
col guizzo estremo d’aria fra le labbra
da lontano il tuo nome griderò.
Arrivare potessi alla tua foce
di crete pigre, di canne dolenti,
dove ti cerca sterminato il mare.
Ippari vecchio, zingaro fiume,
dove tu muori voglio anch’io morire.