Sei giovani tra i 25 e i 30 anni, dopo aver trascorso una serata in un locale notturno, prima di ritornare a casa, arrivano in un villaggio, hanno il desiderio di trasgredire e, dopo aver individuato una piscina all’interno di una villa, saltano il muretto e, senza pensarci un attimo sono già in acqua. Così per gioco. Senza pensarci troppo su. Una bravata che avrebbe potuto costare una denuncia per violazione di domicilio se non fossero intervenuti i genitori protettivi, gli amici degli amici per chiudere la vicenda e salvarli dalla bravata. Eccola.
Le bravate, le goliardie, sono queste: quelle che se tutto va bene dopo 20 anni ti dici che eri proprio un idiota, da ragazzo, ma se va male ti rovini la vita. Una bravata da ragazzi va giustificata e condannata, perché commessa in età adolescenziale, ma la bravata da giovani in carriera che, un domani saranno uomini e donne che amministreranno la giustizia, governeranno le città, gestiranno aziende, saranno imprenditori o imprenditrici non va giustificata, va condannata in tutti i suoi aspetti. I sei giovani in carriera che non si sono resi conto della bravata, dopo la notte, sono ritornati lucidi e hanno analizzato il gesto compiuto? Comprenderanno che la colpa è loro e che per evitare problemi hanno fatto ricorso ai genitori e alle amicizie per chiudere la vicenda. Se fossero stati figli di un Dio minore nessuno genitore gli avrebbe difesi. Anzi gli avrebbero redarguiti.
E’ un brutto episodio che ci racconta di un mix di irresponsabilità, stupidità, superficialità che nelle azione di giovani, uomini e donne, oggi, si trasforma in bravata. Posti di fronte all’ accaduto e alle conseguenze, l’ unica frase che sanno dire a loro discapito è: «Non immaginavo che dalla mia azione potesse scaturire un simile danno». Come a dire: «Non l’ ho fatto apposta.
Questo genere di frasi è tipico dei preadolescenti, ovvero dei nostri figli che frequentano le medie inferiori. Il loro cervello, così ci dicono le neuroscienze, è particolarmente predisposto a cercare eccitazione e sensazioni facili senza troppe “complicazioni cognitive”. Insomma i 12-13enni hanno un cervello da “sensation-seekers” che li spinge a cercare eccitazione ed emozioni intense senza prevedere e calcolare l’ eventuale conseguenza delle azioni che fanno per procurarsele. Per questo motivo, i genitori li devono supervisionare in tutto. Devono fornire loro un paio di ali, ma allo stesso tempo le prove di volo dei figli devono avvenire in un territorio controllato, con un monitoraggio di tutto. Le frasi e le giustificazioni sono solo per i preadolescenti e non per uomini e donne che un domani che dovranno gestire la società, guidare la civitas, essere impegnati nel campo dell’imprenditoria e dell’artigianato. Come adulti, come genitori, come educatori dovremmo riflettere sul perché siamo arrivati a questo punto: perché all’ età in cui ci si può muovere per il mondo in autonomia approfittando di una libertà autogestita, alcuni giovani usano queste due dimensioni – autonomia e libertà – per fare danni terribili e non per esplorare il lato migliore della vita, quello che li renderebbe capaci di goderne appieno e per davvero, permettendo a loro di diventare persone migliori, capaci di rendere il mondo un posto migliore in cui vivere.
Chi educa oggi alla responsabilità, all’ empatia, alla consapevolezza? Quale genitore, prima di “sdoganare” la libertà dei figli permettendogli di andare in giro per il mondo, si impegna ad allenare quella “libertà” affinchè – nel momento in cui verrà messa in gioco – venga direzionata verso obiettivi sani e funzionali? Perché il mondo in cui sono immersi i nostri figli continua a raccontare loro la vita alla stregua di un “luna park” dove ciò che vivi è come un giro di giostra: ci sali, ti diverti, poi scendi e non ci pensi su. L’ unica cosa che conta è che tu abbia “sentito” moltissimo e pensato a niente.
Ogni giorno mi pongo queste domande. Ogni giorno mi chiedo chi può oggi invertire la marcia. E guardandomi intorno comprendo che un genitore da solo può fare molto, ma non può fare tutto. Occorre che mamme e papà anziché “salvare i figli” abbiano il coraggio di richiamarli all’ordine, al rispetto della cosa altrui e al ruolo che occupano nella società. Se li tuteliamo e non gli facciamo prendere coscienza non cresceranno mai e continueranno nelle loro azioni. I genitori dovranno imparare quali sono i sì e i no che aiutano a crescere e soprattutto che quei sì e quei no impariamo a dirli in modo autorevole ed efficace ai nostri figli, convinti che questo è un nostro dovere. Oltre che un nostro diritto.