Il passato serva a non ripetere gli errori, ma a costruire un nuovo rinascimento

Un popolo che non conosce il proprio passato è un popolo senza futuro. Se partissimo veramente da questa indiscutibile affermazione, avremmo sicuramente la consapevolezza, oggi troppo sopita, che il passato non è tale solo per evidenziare nostalgici ricordi; bensì per ripartire dalla identità di una comunità, avendo la giusta determinazione e conoscenza di chi siamo e da dove veniamo. Adesso più che mai, in un momento di così totale smarrimento “pandemico”, è senza dubbio giunto il momento di “riconoscersi” in quel che è stato e in quello potrà essere ancora il senso del legame ad una comunità. Ricordare i 2750 anni della nascita del Leontinoi, non è solo scoprire i fatti storici legati semplicemente al momento dato. Dovrebbe essere un percorso a ritroso che analizzando la storia delle tradizioni popolari, dell’etnologia e della storia degli uomini che hanno caratterizzato la grandezza della nostra città, possa riproporsi con un approccio diverso, lontano da quell’ostentato amore neoclassico che sembra generare in certi momenti alcuni propositi pseudo culturali. La cultura non può essere affidata a improvvisatori di turno perché, magari, si sono indebitamente appropriati di un bene collettivo della città, facendone folklore becero in tutte le sue manifestazioni esteriori. Chi non ha identità non può proporre e non deve avere il diritto di rivendicare nulla e, questo, mi sembra essere il momento storico che attraversano tante città.
Tutti parlano di passato, di propensione di un territorio allo sviluppo turistico e culturale e lo fanno senza avere alcuna competenza e senza strategia, senza visione. Un territorio ha l’obbligo di chiedersi dove vuole 2andare”, su che cosa investire in termini strutturali e in termini di realizzabilità progettuale. Non sono le sagre, gli eventi di una volta, le singole e sporadiche iniziative, sganciate tra l’altro, da qualsiasi percorso turistico serio, a veicolare risorse ed energie positive per un creare un “nuovo rinascimento”.
Come si fa a rivendicare il diritto di parola, quanto si è stati e, alcuni lo sono ancora, protagonisti dello sfascio morale e culturale di una città?
Eppure, sono ancora li, sotto mentite spoglie, non credibili, non proponibili, ma ancora con qualche consenso di ordine squisitamente clientelare, che cercano di “resistere” al tempo e ai loro stessi guai, riposizionando magari qualche amico al loro posto.
Una comunità rinasce costruendo e non ripartendo dal peggio che essa stessa ha determinato. La cosa più sconvolgente e, per certi versi poco comprensibile ad occhi disattenti è, come possono stare insieme il bene e il male, cristo e l’anticristo, il buono e il cattivo?
Su questo bisogna seriamente riflettere.

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