Fino al 28 gennaio al Teatro Nazionale Che Banca! andrà in scena Chicago – Il Musical, che è tornato a Milano dopo aver toccato altre città italiane e che, nei prossimi mesi, continuerà la sua tournée nazionale.
Chicago – Il Musical: il cast
L’ensemble è di altissimo livello, molto preciso nelle complesse coreografie e nelle scene di canto corale. Una menzione speciale va al maestro delle cerimonie (nonché giudice nel processo a Roxy) Pietro Mattarelli, che detta il ritmo dello spettacolo, introducendo il pubblico alle varie scene e canzoni, e lo fa con l’abilità e la simpatia già dimostrate in Pretty Woman nel ruolo del cameriere Giulio.
Da lasciare a bocca aperta la performance en travesti di Luca Giacomelli Ferrarini, che interpreta la giornalista Mary Sunshine. Nel primo atto si ha modo di ascoltare la sua voce da soprano che, se non si sa chi si cela sotto lo strato di trucco, fa credere che si tratti effettivamente di una donna. Nel secondo atto, però, viene “smascherato” e sbalordisce gli spettatori con note profonde. Si può dunque dire che la parte di Mary Sunshine valorizzi in tutto e per tutto questo performer di talento.
Al contrario, un po’ sacrificato nel canto è Cristian Ruiz nei panni di Amos Hart, l’insignificante marito di Roxie, che non viene mai notato o considerato, nemmeno da sua moglie. Proprio in virtù di questa caratteristica del personaggio, Cristian Ruiz canta un solo brano, che però è un numero piacevole, che rimane in testa. La sua prova attoriale, invece, è una conferma della sua bravura nell’interpretare i ruoli più disparati.
Chiara Noschese torna a calcare il palco dopo anni dietro le quinte come regista (anche di questo musical), e lo fa nei panni di Mama Morton, la carceriera che fa favori in cambio di soldi. È una donna prorompente e rigida, ma anche divertente e ironica, e l’esecuzione di Chiara Noschese è precisa e curata.
L’avvocato Billy Flynn è Brian Boccuni, che mette in scena sicurezza, estro e fascino. Il fatto che il suo personaggio voglia essere sempre al centro dell’attenzione “infastidisce” al punto giusto, perché la sua esibizione cattura il pubblico che, come i giornalisti, pende dalle sue labbra e non gli stacca gli occhi di dosso.
È il turno delle due protagoniste. Stefania Rocca nelle vesti di Velma Kelly è un po’ il tasto dolente di questo spettacolo. Velma dovrebbe essere una ballerina professionista, mentre Stefania Rocca si trova alla sua prima esperienza nel mondo del musical. Di sicuro, partendo da zero, si vede l’impegno che ha messo sia nel canto che nel ballo. Tuttavia, rimane una notevole discrepanza rispetto agli altri performer: nel ballo rimane abbastanza rigida, mentre nel canto se la cava nei brani da sola, ma nei duetti non riesce a coordinarsi con l’altro interprete. Nulla da dire invece sulle sue qualità attoriali, dove ha grande esperienza.
Ultima, ma di certo non meno importante (anzi, tutto il contrario), Giulia Sol è Roxy Hart e ci fa vedere tutte le sfaccettature di questo personaggio un po’ ambiguo: dapprima senza scrupoli, quando uccide e chiede al marito di sacrificarsi per lei; poi terrorizzata dalla prigione e dalle conseguenze del suo gesto; e ancora “sottomessa” all’avvocato e alla sua esperienza; infine subdola, perché entra nel meccanismo di menzogne per attirare l’attenzione su di sé. Ed ecco che Giulia Sol si cala perfettamente nella parte, confermando la sua bravura e dimostrando un’ottima padronanza del palco.
I brani e i momenti salienti
Quello che colpisce all’inizio dello spettacolo, a differenza di altri show prodotti da Stage Entertainment, è la decisione di lasciare nella sua versione originale in inglese la canzone più famosa, All that jazz. Essendo il primo brano cantato, infatti, non interferisce con l’italiano, lingua in cui si svolgerà il resto della rappresentazione. Inoltre, il brano introduce gli spettatori all’ambientazione e li fa cantare insieme ai performer.
Molto belli anche i brani e le coreografie di presentazione dei vari protagonisti. Una menzione particolare merita, però, il Cell block tango, ovvero il brano in cui le detenute del carcere raccontano gli omicidi commessi: un brano corale davvero ben riuscito.
La scenografia è abbastanza minimale. Il fatto che sia su più livelli, però, permette di mostrare in uno stesso spazio, seppure ben distinto e definito, due scene che si svolgono in posti diversi.
Tutta la vicenda avviene infatti all’interno di un circo (rappresentato concretamente durante la scena del processo a Roxy), che include una grande varietà di personaggi e una storia in cui questi si comportano in un modo mai vero e autentico, ma sempre finto e forzato.
Una storia che sembra inverosimile e lontana da noi, ma che invece non è altro che un’esagerazione di quella che è la società di oggi: un mondo in cui si cerca di apparire per godere di una notorietà che dura solo un attimo, prima di essere spodestati dal fenomeno successivo, anch’egli di passaggio, come tutti.
Recensione a cura di Simona Zanoni