La libertà di espressone del pensiero è stata una delle conquiste più importanti delle democrazie occidentali. Principio “unico” indiscusso ed indiscutibile che, tuttavia, impone almeno qualche opportuna riflessione e non rispetto al suo valore intrinseco, ma a quella “deriva comunicativa” in corso, alla quale assistiamo in alcuni e ben determinati ambiti. Infatti, se analizziamo il piano comunicativo, come espressione del libero pensiero, i due concetti fondanti di libertà e responsabilità, necessariamente correlati, sembrano essere diventati termini privi di significato e ancor più privi di qualsivoglia “legame”. Sostanzialmente, la libertà come principio di responsabilità, sembra quasi incorrere in un errore del significante. Mai come in questo momento, la parola ha perso il suo valore comunicativo e, per certi versi, etico della rappresentazione della libera espressione intesa anche come libertà di coscienza. Il contesto nel quale ci muoviamo tende a rimuovere questo stretto ed indissolubile legame dal concetto di “libertà responsabile”. Tuttavia è quanto meno opportuno specificare che, non può esserci un gesto, una libera espressione del proprio modus pensandi, determinata da conseguenziali azioni anche di terzi, senza considerare il legame, la relazione tra i due termini. Ancor di più, in questo momento, ci si rivolge al principio di libertà (in tutte e le sue nobili accezioni) per salvaguardarlo dai continui tentativi di “incursione” e “violazione” che potrebbero metterlo in discussione, senza, tuttavia, approfondire meglio il concetto di responsabilità ad esso correlato. In verità il corto circuito comunicativo, al quale stiamo sempre più assistendo, soprattutto sul piano politico-istituzionale, che diventa “l’avamposto” del riconoscimento concettuale di quanto affermato ovunque (compreso i social, i media, ed ogni altro mezzo), dimostra come il principio della comunicazione, in quanto libertà di espressione, non comprenda, anzi sembra quasi eludere, il principio di responsabilità. Quindi è facile dire, comunicare, affermare determinate cose e poi, dopo qualche tempo (certe volte anche solo dopo qualche istante) ribadire di essere dell’avviso opposto, rinnegando quello che si è detto come se fosse stato qualcun altro o, ancora peggio, giustificandolo con il sacrosanto principio di poter affermare ciò che si vuole, quando lo si ritiene utile ed opportuno. Pertanto il: “non farò mai più politica se perdo il referendum” e poi continuare a farla malgrado le evidenze; oppure ancora “… la Lombardia e il Nord l’euro se lo possono permettere. Io a Milano lo voglio, perché qui siamo in Europa”, tranne poi affermare “l’euro è un crimine contro l’umanità. Prima salta l’euro, prima posso riprendere la battaglia per l’indipendenza” sono tutte affermazioni legate “al momento”, quindi assolutamente di “circostanza” che cancellano sostanzialmente l’etica del messaggio in parola.
Questo modus operandi ha, di fatto, determinato l’assoluta inefficacia della “parola” in senso valoriale. Per dirla tutta e fino in fondo, ciascuno può dire quello che vuole, senza valutare ex ante, lo stretto nesso di causalità che ci sta dietro ogni singolo concetto espresso. Non a caso abbiamo preso ad esempio la comunicazione politica poiché, essa, si è attestata sempre più in questa volontà di scindere e minare dalle fondamenta, l’indiscusso legame che c’è tra il “dicunt e il dicere”, non riconoscendo più, alla comunicazione, nessun tipo di responsabilità ed invertendo l’ordine dei valori. Si può dire tutto e il contrario di tutto e non sarai giudicato per questo, poiché è ormai chiaro che non è importante quanto detto e affermato, poiché non deve necessariamente corrispondere a successive verità. Ma allora a che cosa serve la comunicazione se nella nostra società il valore attribuito ad essa non attiva un principio di responsabilità? Come è possibile violare, il nesso di causa ed effetto rispetto a quello che si comunica? È qui che la nostra società si “incarta”, si smarrisce, non ritrova più il bandolo della matassa, perché le “contraddizioni” diventano affermazioni utili al bisogno e ogni cosa cambia visione prospettica rispetto a chi la dice, coma la dice e nel momento in cui la dice. Tutto diventa “verità assoluta” solo in quel dato momento. Quindi non esiste “una verità” neanche quando essa è del tutto evidente. Esistono più verità, tante quanti sono gli interlocutori che affermano un concetto, un pensiero, una riflessione su un determinato argomento. Se non esiste “una verità” in quanto tutto è legato al “punto di vista” e al momento contingente, non può esistere un nesso tra libertà e responsabilità, perché tutti siamo liberi di dire, ma nessuno è responsabile di ciò che dice, poiché ciò che si è detto o affermato prima, finisce la sua funzione lì, in quel determinato momento.
Se questo dovesse ulteriormente affermarsi come principio fondante dell’attuale ed imperante processo comunicativo, si rischierebbe di compromettere definitivamente il dato oggettivo, con i conseguenti ed irrimediabili effetti sulla società.