LAMEZIA TERME – “Che cos’è la chiesa, come edificio, come tempio, all’interno di una città, di un paese, di un quartiere se non il segno che c’è una comunità che vive, che sente il bisogno di riunirsi per lodare Dio, per riconoscere e vivere la propria fraternità e per indicare al mondo che la Fede è ciò che ci fa vincere nella logica di Dio, cioè l’essere dentro la comunità degli uomini con la forza dei redenti, con la forza della speranza?”. Così il Vescovo, monsignor Serafino Parisi, durante la celebrazione della Santa Messa, da lui presieduta, in occasione dei dieci anni dell’apertura al culto della chiesa di Santa Maria Goretti. “Dieci anni – ha detto monsignor Parisi – sono una bella tappa, una considerevole fetta del tempo che ognuno vive. Ci sono stati gli anni tristi della pandemia che ci hanno segnato. Però, dentro queste vicende del mondo il Signore guida sempre i nostri passi e pur dentro le cose del mondo, le difficoltà, non fa mancare il suo aiuto, il suo intervento, la sua presenza. E ripercorrendo questi dieci anni abbiamo tanti, ma tanti motivi per ringraziare il Signore”. “La domenica di oggi – ha aggiunto il Vescovo – , quella che stiamo vivendo, ci dà l’opportunità, seguendo le indicazioni che vengono dalla Parola di Dio, di considerare almeno due aspetti che riguardano la ricorrenza di questa comunità cristiana di Santa Maria Goretti, che oggi, appunto, ricorda i dieci anni dell’apertura della chiesa. E la cosa che più colpisce dalle letture di oggi, sia da quella degli atti degli Apostoli che poi anche dalla lettura del Vangelo, è l’istituzione della prassi cristiana che arriva fino a noi, oggi, di vedersi ogni settimana. Abbiamo ascoltato nel brano del Vangelo che Tommaso non era presente quando Gesù era apparso la prima volta, però c’era otto giorni dopo, il primo giorno della settimana perché presso gli ebrei la settimana si chiudeva con il sabato e la domenica era il primo giorno della settimana, giorno dedicato totalmente al Signore. Nel brano del Vangelo abbiamo ascoltato che ancora una volta gli apostoli, intimoriti, non avevano compreso nulla della resurrezione di Gesù. Prima con Tommaso assente, poi con Tommaso presente, vivevano settimanalmente l’incontro con il Signore. Oggi noi diciamo venire a messa. All’epoca si diceva che i cristiani che si riunivano erano un cuor solo e un’anima sola. Perché la vicinanza e il rapporto nei confronti del Signore, che è punto di partenza anche nel nostro essere qui oggi, domenica in albis, la seconda domenica di Pasqua, è incontrare il Signore. E lui, di rimando, ci dice: ‘se volete incontrarvi con me, dovete vivere la comunione tra di voi’”.
“I primi cristiani – ha proseguito monsignor Parisi – coloro che erano divenuti credenti, stavano insieme, erano un cuor solo e un’anima sola, vivevano una forma di comunione. E questa forma di comunione era indicata anche dal fatto che tutto quello che loro avevano era messo in comune e, equamente, secondo le necessità, veniva distribuito perché coloro che si vedevano nel nome del Signore non potevano correre il rischio di vedersi, battersi il petto, dire magari ‘Signore ti amiamo’, e, poi invece, tra di loro non conoscere le necessità dell’altro. Conoscere la necessità dell’altro vuol dire diventare responsabile della vita e di ciò di cui l’altro ha bisogno per vivere. Questa è la comunità Cristiana. Quando, allora, noi ci incontriamo nella chiesa, queste mura sarebbero insignificanti se non ci fosse una comunità viva. Ecco perché bisogna ringraziare il Signore, perché queste mura ospitano una comunità viva. Perché questa chiesa è davvero il simbolo di ciò che accomuna tutti noi in riferimento a Dio e in riferimento alla nostra vita comunitaria. Era quella che ci diceva la prima lettura di oggi dagli Atti degli Apostoli: ‘quello che possedevano veniva messo in comune perché il bisogno di tutti venissero soddisfatto’. Questa è la comunità. E mi piace dire: questa è la chiesa”.
“Che cosa auguro, allora, a questa comunità per gli anni che verranno – ha concluso il Vescovo – ? Auguro a questa comunità quello che si diceva delle prime comunità cristiane: che coloro che vedevano i cristiani riuniti si meravigliavano. ‘Guardate come si amano’. E l’amore dei cristiani, guardato, capito, percepito, diventava occasione di conversione . Ecco, la chiesa è segno nel quartiere di tutto quello che ci siamo detti fino adesso, ma la comunità dei credenti deve essere esempio per tutti quelli che guardano verso di noi, di una redenzione possibile, di una carità che può diventare vita. Ve lo auguro di tutto cuore”.