LENTINI – “Sentiamoci un pò più vicini”. E’ quanto ha scritto nel commento al Vangelo l’arcidiacono don Maurizio Pizzo, parroco della Parrocchia Santa Maria La Cava e Sant’Alfio, nella celebrazione della Domenica delle Palme, che quest’ anno a causa della Pandemia è stata celebrata,a porte chiuse e senza i fedeli. Ecco il testo integrale dell’omelia.
Sentiamoci un po’ più vicini.
Mi ha molto colpito qualche anno fa la lettura di una celebre omelia di don Primo Mazzolari un antesignano illustre del Concilio Vaticano II, un profeta dal “passo troppo lungo (che) si stentava a tenergli dietro (Paolo VI)”: era il Giovedì Santo del 1958 quando questo prete di Bozzolo (MN), pronunciò tale omelia dirompente su Giuda, conosciuta da molti come “Nostro fratello Giuda”: «Qual paura ha scosso il tuo cuore, Giuda? Quale velo ha appesantito il tuo sguardo, si da non sentire l’ultimo appello all’amore, la parola del Maestro che ancora ti chiamava: amico? Davvero credevi che il tuo tradimento sarebbe bastato a sbarazzarti di Dio?». Povero Giuda. Che cosa gli sia passato nella sua testa non è dato saperlo, forse perché, come dice il salmista, a volte «un baratro è l’uomo e il suo cuore un abisso». Rimarrà per sempre come uno dei personaggi più misteriosi e contorti della storia della salvezza. Quanto filo da torcere avrai dato Giuda, nella tua vita, al tuo più sincero amico Gesù! Quanto rigonfio era il tuo orgoglio da non trovare più spazio per entrare nel cuore grande e ferito di Dio. Mi piace pensare, alla vigilia di questa Domenica delle Palme, che la tentazione di Giuda (oggi sempre in agguato) è incominciata, appunto, con il suo orgoglio, si è consumata con il denaro, è degenerata con la disperazione, in un vortice verso l’abisso, senza ritorno. E’ incominciata con il suo orgoglio. Un peccato a volte invisibile, pericoloso (Papa Francesco), che mi fa pensare a chi, sicuro di sé, non ha mai bisogno nella sua vita di chiedere aiuto. A chi, credendo di imboccare la strada giusta, la più allettante o fascinosa viene inghiottito (aggrappandosi a sé) dalle sue sabbie mobili, piuttosto che riconoscere il suo errore. Si è consumata con il denaro. «Per questo il Signore aveva detto ai suoi Apostoli là nell’orto degli ulivi, quando se li era chiamati vicini: “State svegli e pregate per non entrare in tentazione. E la tentazione è incominciata col denaro. Le mani che contano il denaro. Che cosa mi date? Che io ve lo metto nelle mani? E gli contarono trenta denari» (Primo Mazzolari)”. E’ degenerata, anzi forse si è pervertita con la disperazione. Una sorta di superbia mascherata, che ci aliena dall’aiuto dell’altro o dal soccorso divino. «Povero Giuda. Povero fratello nostro. Il più grande dei peccati, non è (stato) quello di vendere il Cristo; (ma) quello di disperare. Anche Pietro aveva negato il Maestro; e poi lo ha guardato e si è messo a piangere e il Signore lo ha ricollocato al suo posto: il suo vicario». Mi piace pensare allora, non tralasciando la realtà attuale, in un momento drammatico che la storia attraversa, in cui sperimentiamo tutti molto da vicino, la fragilità di essere umani, ad una ancora possibile crescita. Paradossalmente gli errori di oggi possono diventare la forza del futuro piuttosto che la debolezza del passato. Una ripartenza diversa piuttosto che un fallimento definitivo. Una strada nuova e mai intrapresa al posto del pantano dove rimanere immobili. Un cambio urgente di direzione e non la solita scorciatoia. A patto che cominciamo tutti, nel mondo globalizzato di oggi, a pensare che non possiamo salvarci da soli (Papa Francesco). Anche quando tocchiamo con mano le nostra fragilità, le nostre imperfezioni, i nostri limiti o i nostri errori (Il Signor errore! – Montessori), nessuno va congelato nel suo errore, nessuno è il suo limite, la sua imperfezione. Quell’errore può diventare un punto di svolta, di incontro, di riflessione. E proprio nei momenti difficili guai a contare al proprio orgoglio, ad identificarsi col proprio avere, a farsi risucchiare dalla disperazione. Anche quando (come per David Maria Turoldo strenuo difensore della Resistenza insieme al caro amico Primo Mazzolari), credere è difficile e può sfiorare “A stento il nulla”!
No, credere a Pasqua non è giusta fede:
troppo bello sei a Pasqua!
Fede vera è al venerdì santo, quando tu non c’eri lassù.
Quando non una eco risponde al suo alto grido
E a stento il Nulla dà forma alla tua assenza (David Maria Turoldo).