Nel gioco della comunicazione non è previsto l’errore: attenti alla verità delle fonti e dei riferimenti etici

Nel gioco della comunicazione non è previsto l’errore: attenti alla verità delle fonti e dei riferimenti etici

Abbiamo bisogno di credere in qualcosa, in qualcuno e, nella maggior parte dei casi, corriamo il serio rischio di sbagliarci, di affidare le nostre speranze, le nostre energie, il nostro tempo, la nostra buona fede, a chi sicuramente è pronto ad utilizzarla per finalità personali ben precise. La comunicazione, purtroppo, è anche questa ed il “successo” è ben evidente quando il feed back evidenzia che si riesce ad “ottenere” dagli altri, quello per cui, la stessa è nata: persuadere. Lo schizofrenico atteggiamento dell’opinione pubblica rispetto a ciò che avviene, che ci circonda, ne è pura dimostrazione empirica. Questa innata esigenza primordiale è senza dubbio presente in qualsiasi ambito dell’attività umana. Non c’è uno spazio dell’intelletto davvero libero ed “indipendente” dal contesto sociale in cui si vive. Siamo tutti destinati e destinatari di messaggi che ci inducono a fare valutazioni, spesso sommarie e superficiali, del mondo che ci circonda (presi da una carica emozionale del momento) e, da qui, la necessità di creare, “ad horas”, un nuovo dogma che ci permetta di credere e di aver trovato una “nuova riva d’approdo”, sicura e affidabile.

Nel “gioco” della comunicazione non è previsto l’errore. Chi prepara progetti comunicativi, per esempio, finalizzati ad un nuovo brand di qualsivoglia settore commerciale, politico, mediatico, sa benissimo come “colpire” l’attenzione del possibile acquirente, fruitore, lettore, ascoltatore, creando fin da subito una vera e propria “campagna” di fidelizzazione, che viene stratificata, in passaggi successivi, nella mente delle persone, magari attraverso un’immagine, una frase, uno slogan recitato ad arte. Il problema sostanziale è che questo metodo di asserzione comunicativa efficace, ha prodotto, negli anni, una serie di controindicazioni non poco trascurabili.

È avvenuto quello che molti hanno sottovalutato e che, in verità, ha cambiato i principi etici comunicativi ai quali si ispiravano le generazioni precedenti. In particolar modo mi riferisco a quelle regole morali e a quei principi inviolabili anche se non scritti: la buona educazione, la verità, la buona fede, la deferenza per l’interlocutore. Un po’, per fare un esempio classico, la vecchia tradizione del rispetto di un impegno che si assumeva con “la stretta di mano”. Un affare, un’intesa, un patto, una vendita, un acquisto, una promessa, pur non essendo tutelata dalla norma, diveniva tutelata dalla prassi etica che, in quanto tale, diveniva valore assoluta al quale era impossibile sottrarsi. Nessuno si sognava di “tradire” la fiducia dell’altro, perché sarebbe stata la fine della propria attività e, ancora prima, della propria dignità.

Il prezzo da pagare in termini sociali sarebbe stato grandissimo e nessuno mai meditava di ricorrere a tanto.

Quello che fino alla generazione scorsa era un vero e proprio riferimento etico e sociale, oggi è, al contrario considerata una minusvalenza, sostanzialmente un fatto di assoluta e secondaria importanza. Non è più importante quello che si dice, quello che si comunica, quello che si evince in pura evidenza; bensì il “come si dice”, la narrazione del dicunt, che diventa verità essa stessa. Quindi tutto è performance della comunicazione. Chi è bravo in questo tipo di relazione virtuale e “sociale” ha le “carte in regola” a prescindere dai meriti più o meno posseduti in termini di competenze o di realizzabilità dell’idea esposta. Diventa l’unica cosa alla quale credere, anche se un momento prima si è espresso il concetto contrario, attraverso tesi opposte.

Quindi nulla è più reale dell’irrealtà, o meglio più reale della mistificazione della realtà.

Il problema fondamentale, decisivo, relativamente al concetto di realtà resta comunque quello dell’esistenza autonoma delle cose esterne rispetto alla mente, soluzione ricercata e posta da tantissimi filosofi, da Cartesio in poi.

Allora, per non perdersi troppo, e tentare di capire senza essere ulteriormente strumentalizzati ed “utilizzati”, sarebbe opportuno magari ricorrere al principio della realtà che regola il funzionamento dell’IO, in contrapposizione al principio del piacere e, quindi dell’ES. In poche parole, non lasciamoci convincere perché magari proviamo un certo appagamento nel sentire delle cose che architettonicamente, nella comunicazione, sono state costruite proprio per questa finalità, per provocare asserzione; bensì lasciamoci guidare dal nostro “Io” consapevole e critico, non rinunciando mai di approfondire ogni cosa utilizzando la giusta metodologia. È opportuno iniziare a credere in noi stessi, prima di affidarci agli altri. Questa è la scelta strategica che prescinde da qualsiasi prassi di una retorica solo della parola, prima di formare il giusto e autonomo giudizio mediato dalla consapevolezza e dal discernimento.

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