Per quanto si possa fare finta di nulla e, con grande forza, cercare di “andare oltre” il momento pandemico, la verità è che dobbiamo prendere atto che siamo nel “giorno dopo” del virus. Quindi, continuare a declinare la quotidianità con le categorie del “prima”, non ci farà uscire presto da questo “Kaos” di pirandelliana memoria”: “Io sono figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché sono nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco, in forma dialettale Càvusu dagli abitanti di Girgenti, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco Kaos”. Il grande sospetto che sembra essere diventato quasi realtà è che, pur essendo convinti del fatto “epocale” che stiamo vivendo, “l’intricato bosco” dove metaforicamente ci muoviamo con le mille contraddizioni dell’uomo, nonché della sua non definibile “temporalità” riguardo il principio di durata, viviamo tra queste pieghe del tempo con il concreto rischio di non trovare più “la via”, di non poter più slegare il nodo che ha ingarbugliato l’intera matassa della nostra vita.
Far finta che tutto ciò sia un “fenomeno” gestibile dall’uomo e che tutto presto ritornerà come “il giorno prima” del virus, è falso e rischia di non preparare bene il futuro dell’umanità.
Il senso di incertezza, di smarrimento e soprattutto il bombardamento di notizie fra loro contraddittorie, ha creato questa assoluta insicurezza.
Per queste ragioni, ciascuno ha scelto, di vivere “motu propriu”, in piena autonomia, attivando il meccanismo conseguenziale della “legittima” scelta di poter fare cioè che si ritiene opportuno (sulla base delle singole considerazioni personali), non curanti dell’altro e delle conseguenze che, una scelta personale sbagliata, possa incidere nella vita di tanti altri, ad esempio nel contagio e nella malattia.
Quindi la definizione dei colori per le varie regioni, città, zone, è diventata una farsa. La perdita di fiducia nella possibilità di sistemare il reale in precisi moduli, provoca una sorta di relativismo conoscitivo che non è legato al mancato “giudizio” della gente, bensì e principalmente, all’assoluta negazione dell’autorevolezza del mondo istituzionale e scientifico.
Nulla è più autorevole, tutto è in discussione.
La confusione creata dai tanti pareri discordanti, dalle liti infuocate “sul se e sul ma” per finire con la pratica dell’esibizionismo mass-mediologo, ha compromesso ogni forma di autocensura della coscienza.
Pertanto, ognuno sceglie di vivere il “colore” a seconda del proprio punto di vista, delle individuali riflessioni.
Il giallo, l’arancione, il rosso sono diventati simboli della “disfatta”. Sono emblema di una società in piena crisi valoriale ed esistenziale, senza guida alcuna che possa risollevare le sorti di una credibilità ormai definitivamente seppellita.
Quindi, in questo contesto, si vive come se nulla fosse per la volontà di non accettare il momento della sofferenza che dovrebbe comprendere vere ed importanti riflessioni da proporre.
In questo assoluto contrasto che ha messo in campo il “caos”, nessuno ritrova la sua vera identità e il “soggettivismo assoluto” entra in scena, perché è fin troppo ovvio che la dimensione della realtà coincide, per molti aspetti a quella dell’irrealtà. Una realtà che diventa reale e che rischia di compromettere il già precario equilibrio individuale e sociale.
Nessuno si sta occupando di guardare “oltre la siepe”, oltre il momento e, statene certi, questo “tempo sospeso” esibirà presto la riscossione di un conto molto salato e non solo sul piano della gigantesca crisi economica.
La nostra umanità dovrà reiventarsi, dovrà ripartire e non sappiamo bene neanche da dove e da cosa: lavoro, sentimenti, passioni, relazioni?
Questo è un nuovo “anno zero” e senza catastrofismi bisogna prenderne atto.
Perché non “ripensare” a tutto? Perché non provare ad immaginare attraverso nuove dimensioni il futuro?
Certo sarebbe bello, ma porrebbe fine al gioco inverecondo al quale stiamo assistendo della politica del “mordi e fuggi”, del “grido più forte” e otterrò di più. Giochi e giochini che lasciano intera la dimensione drammatica che stiamo vivendo e che, con grave colpa, la nostra classe dirigente non è in grado neanche di interpretare.
Continuiamo a vivere nel caos nella speranza di ritrovarci integri nel “dopo” che, per molti aspetti, è già adesso!