SIRACUSA – Una cattedrale gremita e composta da centinaia di giovani, adulti, famiglie dei diversi gruppi e associazioni dell’intera Diocesi hanno partecipato, ieri sera, alla veglia di preghiera presieduta dall’Arcivescovo di Siracusa Mons. Salvatore Pappalardo, con al fianco l’arcivescovo emerito mons. Giuseppe Costanzo e l’ex vicario generale Giuseppe Greco. In tanti si sono ritrovati per riflettere sul tema “Ero Forestiero e mi avete ospitato”. “La solidarietà dimostrata in questa occasione deve essere per tutti uno stile quotidiano – ha detto il presule nel suo saluto a conclusione della veglia -. “Nel Vangelo, Gesù Cristo si identifica con l’affamato, l’assetato, lo straniero, il nudo, il malato e il prigioniero”. “L’altro, il diverso, fa paura. Eppure siamo tutti imbarcati. Tutti sulla stessa barca. E basta che ci sia solo uno che faccia naufragio perché nessuno di noi possa gioire di trovarsi sulla terra ferma. Se uno solo fa naufragio, alla deriva siamo tutti noi”. Così don Luca Saraceno, parroco e docente di filosofia presso lo Studio teologico San Paolo di Catania. È stato lui a guidare la riflessione nel corso della veglia voluta dall’arcidiocesi di Siracusa. Ha descritto la vita dell’uomo come essere che – fin dal concepimento nel grembo della madre, dal “naufragio” della nascita, all’entrar a far parte di una famiglia, di questa nostra terra, di una comunità di credenti e di una città – sperimenta il suo essere straniero e, soprattutto e a volte inconsapevolmente, il suo essere accolto. “Il forestiero sono io, sei tu, siamo noi, che continuamente veniamo ospitati. Stranieri a noi stessi, esistenzialmente – ha detto -, facciamocene una ragione. Non abbiamo radici, ma gambe e non stiamo mai fermi, continuando a muoverci oggi come turisti, domani come pellegrini, sempre da ‘stranieri’ e ‘ospiti’ dentro a questa grande carovana caotica che è il mistero della vita.
Ed è proprio quando dimentichiamo che c’è un forestiero che abita e convive dentro di noi – ha proseguito – che facciamo fatica ad accogliere il forestiero, l’altro, il diverso che ci raggiunge, si presenta a noi innanzi e svuota il suo sacco pieno di bisogni e di domande. Ne ho paura, lo rifiuto perché mi ricorda la mia precarietà, finitezza, instabilità, fugacità. Inorridisco davanti a un altro me perché è privo di ciò che credo mi dia sicurezza”. Poi l’intervento del rappresentante dei maristi e la conclusione affidata ai giovani dell’Inda.