Ucsi Assisi “Giancarlo Zizzola”: una scuola per i Giovani

Ucsi Assisi “Giancarlo Zizzola”: una scuola per i Giovani

di Tiziana Santoro

ASSISI – I Consiglieri nazionali ed i Presidenti di ciascuna Ucsi regionale, dal 16 al 18 novembre, sono intervenuti alla Scuola di Formazione “Giancarlo Zizzola” per incontrare i giovani giornalisti cattolici giunti da ogni parte d’Italia. Il primo confronto si è tenuto ad Assisi, presso la Cittadella, ed è stato incentrato sulla tematica “Raccontare la città”. Nel ruolo di moderatore è intervenuto il Presidente dell’Ucsi Vania De Luca, la quale ha accolto i presenti e – traendo spunto dall’ultimo numero della rivista desk – ha accennato alle crescenti complessità dello spazio urbano: luogo di relazioni, cittadinanza, inclusione/esclusione, solidarietà/egoismo, opportunità/ingiustizie. Il Presidente ha posto l’accento sul difficile compito a cui deve adempiere il giornalista nell’esercizio della sua professione, facendosi coraggiosamente garante della libertà di informazione: pilastro fondante della democrazia. Non è un caso – sottolinea il Sindaco di Assisi Stefania Proietti – che la sede dell’incontro sia Assisi, città che con la sua Carta si è guadagnata il ruolo di attivista per la pace e il dialogo. Il presupposto per una corretta analisi interpretativa dei fenomeni trae fondamento – prosegue il Sindaco – nella Costituzione Italiana, che rifiuta la guerra come strumento per redimere le controversie e gli antagonismi fra gli uomini. La via da seguire è duplice e percorre due direttrici: sul piano locale l’ascolto delle esigenze del singolo e l’attenzione per i suoi bisogni; tuttavia occorre avere anche una visione, una prospettiva di cambiamento aperta sul mondo, che promuova l’azione di pace e di difesa dei diritti dei bambini persino in terre lontane come lo Yemen. I politici cattolici ed i giornalisti cattolici devono agire animati dalla medesima volontà: quella di guardare con occhi sinceri la realtà per poi agire con coraggio, per dare una direzione migliore allo sviluppo degli eventi. Successivamente interviene il giornalista e scrittore Mario Marazziti, il quale ricorda l’insegnamento del giornalista vaticanista Giancarlo Zizzola, apprezzato per la sua cultura, il suo amore per il mondo, ma soprattutto per non aver assunto mai una posizione monoculturale e aver dimostrato attenzione per il gusto e la forma del racconto. Nella difficile operazione di raccontare la città, ogni bravo giornalista, dovrebbe “usare occhiali per raccontare quello che non si vede”, superare le logiche individualiste e porre l’accento sull’empatia. La sfida del tempo – sottolinea più volte Marazziti – consiste nel non vedere nell’altro un nemico e nel ritrovare il gusto del vivere insieme. A tal proposito avverte sul pericolo “mistificatorio del linguaggio giornalistico”, che si avvale di termini dall’eccezione discriminante come “clandestini” piuttosto che “rifugiati” o di termini impropri come “premier” che non trova affinità né corrispondenza col processo democratico ed elettivo delle rappresentanze politiche del nostro Paese. Un altro ammonimento è rivolto contro i giornalisti che – attraverso titolazioni affrettate o notizie poco approfondite – assecondano lo slittamento delle coscienze verso la diffusione inverosimile di sentimenti di rabbia e discriminazione raziale. L’appello all’assunzione di responsabilità coinvolge anche i sindaci ed i politici a cui spetta l’arduo compito di garantire i diritti e non di stabilire a chi attribuirli. L’unico antidoto possibile all’odio raziale è – insiste Marazziti – connettere le persone attraverso l’avvicinamento per far sì che ciascuno si riscopra nell’altro.

Vincenzo Morgante, Direttore Tv2000, prende la parola per approfondire il ruolo del giornalista locale per cui l’empatia e la simpatia costituiscono l’essenza di un mestiere, che si contraddistingue come servizio erogato verso le persone. Morgante ha più volte messo a fuoco il rapporto di interdipendenza che intercorre tra il giornalista locale che è, al tempo stesso, spettatore e attore partecipe di ciò che riguarda i luoghi e le persone di cui tratta. Il giornalista locale ha il valore della prossimità: conosce luoghi, persone ed eventi che coinvolgono la comunità a cui lui stesso appartiene. Questo richiede – sostiene Morgante – di operare con “la schiena dritta” senza sacrificare la verità e il diritto di cronaca ai diktat dei potenti del luogo, dando spazio a quelle notizie di vita vissuta che costituiscono “l’ossatura dell’informazione locale”. Nei rapporti tra notizie di rilevanza nazionale e locale il piano gerarchico dell’importanza si relativizza in base agli interessi del lettore, per cui ciò che realmente conta è la cura con cui questo “giornalista-artigiano” esalta la notizia attraverso la qualità con cui seleziona le domande e la forma con cui restituisce ai lettori i suoi articoli. Dello stesso avviso è anche Padre Francesco Occhetta,  di Civiltà Cattolica, il quale eguaglia la professione giornalistica ad una vocazione, che si concretizza attraverso la missione di riscoprire l’altro. Costruire la città – secondo Padre Occhetta – significa riscoprire il valore assoluto dell’altro e della persona e promuovere la connessione tra le solitudini che coesistono nelle città. Per risolvere l’antagonismo tra il centro e le periferie occorre procedere secondo un approccio produttivo: capire i processi senza imporsi; immergersi nelle realtà altrui, mettere a fuoco la bellezza e utilizzarla come base per edificare un rinnovato modo di vivere in comunità. Al giornalista spetta l’arduo compito di cogliere i nuovi nessi, anticipare la coesistenza civile e farsi partecipe di un “processo di costruzione della felicità pubblica”. Secondo Padre Occhetta, per realizzare ciò occorre avere cura di non utilizzare le “parole come pietre” e di “gerarchizzare ciò che è umano rispetto a ciò che non lo è”, facendo prevalere non schemi preconcetti, ma “modelli umani”. Il relatore prosegue esponendo i rapporti tra “populismo” e dimensione “etica del giornalista”, il quale deve assolvere al dovere di denunciare “ciò che è disumano” e che mina la libertà di stampa; riportare la verità dei fatti ogni qualvolta ne riconosca l’utilità sociale dell’informazione, esponendoli attraverso una forma civile. Padre Occhetta teorizza un giornalismo che muova verso il prossimo e che sia in grado di annullare la distanza tra gli uomini acuita dal web.

Dal contraddittorio – a cui hanno partecipato i presidenti, i rappresentanti e i giornalisti dell’Ucsi accorsi da ogni regione – sono emerse le difficoltà odierne di chi è chiamato a svolgere la professione giornalistica ai tempi della globalizzazione: l’attacco politico alla categoria; la difficoltà a mantenersi integri e liberi nell’esercizio del proprio operato; l’esigenza di ridefinire il ruolo e la missione del giornalista. Oltre al problema della mission si pone quello dell’approfondimento della notizia; della possibilità di puntare l’obiettivo su visioni diverse di vivere e abitare il mondo per offrire squarci e prospettive diverse. Non è da meno la problematica attinente alla ridefinizione di un metodo capace di svilupparsi da assunti culturali, che tenga conto di una prospettiva storica e che si concretizzi attraverso una progettualità condivisa. La credibilità del giornalista, inoltre, andrebbe ricercata nel procedimento di distinzione-superamento del “linguaggio aspro e antagonista” che alimenta “la social-confusione” a danno dell’informazione e della cultura. Un modo uscire dall’impasse – afferma Mario Marazziti – consiste nel creare prospettiva, nel raccontare storie positive, nell’offrire al lettore corridoi umanitari e bilanci positivi. Vincenzo Morgante suggerisce di puntare sui contenuti e sulla credibilità, dando importanza alla competenza, rivalutando le fonti d’archivio; promuovendo la cultura attraverso la lettura e ponendo lo sguardo alla stessa altezza di colui che è osservato.

Nel contraddittorio non sembra distinguersi una singola voce, ma piuttosto sembra di udire una coralità di voci tutte orientate nella stessa direzione: quella del rinnovamento, della riscoperta e della ridefinizione di una professione e di un metodo che – partendo da una scala di valori condivisa – possa contribuire a rigenerare l’integrità professionale dei giornalisti attraverso un dialogo partecipato e condiviso.

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